John Dougherty è il direttore della missione e del ministero a St. Joseph’s Prep a Philadelphia, Pennsylvania. Per conto della rivista dei gesuiti “America”, ha analizzato la trilogia di un classico del cinema: “Il Padrino”. La sua è una recensione con occhi nuovi e una lente cattolica.
“Il Padrino” (1972), basato sul romanzo omonimo di Mario Puzo, ruota attorno alla famiglia criminale dei Corleone a New York negli anni ’40. Il patriarca, Don Vito Corleone (Marlon Brando), vede i suoi figli maggiori Sonny (James Caan) e Fredo (John Cazale) coinvolti negli affari di famiglia, mentre il più giovane, Michael (Al Pacino), cerca una strada diversa. Tuttavia, quando Don Vito viene quasi ucciso dai rivali, Michael intraprende un percorso di vendetta che lo porterà a succedere al padre come capo della mafia.
Per molti, “Il Padrino” è una storia di ambizione, lealtà e rispetto, con citazioni che diventano quasi proverbi. Questo ha portato alla percezione che il film glorifichi la mafia. Ma Coppola non si sofferma sul lusso dei Corleone, piuttosto sulla visione seducente del potere e le sue giustificazioni. Don Vito è così potente che raramente deve alzare la voce per essere obbedito. Questo rispetto, tuttavia, nasce dalla paura. La famosa scena iniziale, in cui Vito viene offeso da un supplicante, non mostra un disprezzo per la violenza, ma per la mancanza di rispetto. Solo dopo che il supplicante lo chiama “Padrino” e gli bacia l’anello, Vito concede la sua vendetta.
Nonostante le apparenze di rispettabilità e pietà cattolica, i Corleone sono assassini, estorsori e trafficanti. Si considerano superiori agli altri criminali grazie a una facciata di classe e moralità che nasconde la brutalità dei loro affari. Ogni peccatore trova giustificazioni per i suoi peccati: per Vito, la violenza è giustificata dal sostegno alla famiglia, all’aiuto alla comunità e da un codice etico personale.
“Il Padrino” suggerisce che tutto il potere opera così: una facciata di rispettabilità che maschera la violenza necessaria per raggiungere il successo. Michael, alla fine del film, accetta questa logica crudele. Quando paragona suo padre a qualsiasi uomo potente, Kay, la sua ragazza, lo chiama ingenuo. Ma Michael ribatte con pietà, suggerendo che la vera ingenuità è credere che il potere possa esistere senza violenza.
Se “Il Padrino” presenta una fantasia, è oscura: potere senza moralità, ricchezza a ogni costo, rispetto derivato dalla paura. Il fatto che molti vedano questa storia come aspirazionale riflette più su di noi come persone che sul film stesso. Se qualcuno glorifica la mafia, siamo noi.
In definitiva, “Il Padrino” non è solo un film sulla mafia, ma un ritratto penetrante del potere, della moralità e delle scelte umane. È una finestra su un mondo in cui la linea tra il bene e il male è sfumata, e dove il vero potere non risiede solo nella forza bruta, ma nella capacità di controllare e manipolare attraverso una maschera di rispettabilità. Guardando attraverso una lente cattolica, la trilogia di Coppola ci sfida a riflettere su questi temi complessi e a confrontarci con le nostre stesse giustificazioni e aspirazioni.