La conferenza stampa di fine anno tenuta da Giorgia Meloni il 5 gennaio 2025 ha messo in luce le contraddizioni di un governo che fatica a definire una strategia coerente in un momento critico per il Paese, sia sul piano interno che internazionale. Nonostante il clima celebrativo generato dalla liberazione di Cecilia Sala, che ha permesso al governo di mettersi una medaglia al petto, è impossibile ignorare le incongruenze e le ambiguità emerse sia nella gestione di questo caso che nella più ampia politica di governo.

Meloni ha rivendicato con enfasi il successo nel riportare a casa la giornalista italiana detenuta in Iran, ma ha evitato di affrontare con trasparenza la natura degli accordi sottostanti. Il rilascio di Sala è stato reso possibile, con ogni probabilità, dalla garanzia italiana di non estradare negli Stati Uniti Mohammad Abedini-Najafabani, l’“uomo dei droni” iraniano arrestato a Malpensa. 

Accusato dagli Stati Uniti di associazione per delinquere e terrorismo, Abedini, la sua detenzione solleva seri dubbi: finora non sono state presentate prove concrete a suo carico, e il suo trattenimento appare sempre più come un atto di pressione politica che una misura basata su evidenze giuridiche.

L’innocenza di Abedini dovrebbe essere il punto di partenza per qualsiasi discussione sul caso. La sua figura è stata strumentalizzata in un gioco geopolitico che vede l’Italia come terreno di scontro tra Stati Uniti e Iran. Nonostante la premier Meloni abbia dichiarato che la liberazione di Sala non è stata parte di uno scambio diretto, la realtà sembra suggerire il contrario: il governo italiano ha offerto garanzie implicite a Teheran, assicurando che Abedini non verrà estradato negli Stati Uniti. Questo impegno, sebbene non formalizzato, è evidente nei tempi e nei dettagli della liberazione di Sala, avvenuta con una rapidità che tradisce l’esistenza di un accordo dietro le quinte.

Questa gestione ambigua mette in discussione la coerenza dell’azione di governo, che si trova a dover equilibrare le relazioni con due attori internazionali spesso in conflitto. Da un lato, l’Italia ha bisogno di mantenere buoni rapporti con gli Stati Uniti, soprattutto in vista del cambio alla Casa Bianca con il ritorno di Donald Trump; dall’altro, l’impegno con Teheran è stato necessario per risolvere il caso Sala, ma rischia di incrinare la fiducia degli alleati transatlantici.

Un altro punto critico è la gestione delle telecomunicazioni governative e militari. Meloni ha difeso la possibilità di affidarsi a SpaceX, la società di Elon Musk, come una scelta pragmatica data l’assenza di alternative pubbliche. Tuttavia, questa decisione sottolinea la mancanza di visione strategica in un settore chiave come quello della sicurezza nazionale. Affidarsi a una società privata straniera per le comunicazioni sensibili non solo espone il Paese a rischi di ingerenza, ma rivela un’inquietante dipendenza tecnologica che contraddice la retorica sovranista spesso sbandierata dal governo. La premier, mentre minimizza i rischi associati a Musk, non esita ad attaccare figure come George Soros, con una narrazione che appare più ideologica che fondata su considerazioni concrete di interesse nazionale.

Sul piano delle riforme, la premier ha ribadito l’intenzione di introdurre il premierato e una nuova legge elettorale entro la fine del mandato. Tuttavia, manca una chiara strategia per affrontare le sfide strutturali del Paese, dalla giustizia alla fiscalità, fino all’autonomia differenziata, che rischia di accentuare le disparità territoriali invece di ridurle. Le promesse riformiste suonano più come slogan che come piani concreti, mentre l’Italia continua a soffrire di un’economia stagnante, investimenti insufficienti e una competitività internazionale in calo.

In politica interna, l’approccio del governo alla libertà di stampa è emblematico delle tensioni tra retorica e realtà. Meloni ha respinto le accuse di voler comprimere i diritti della stampa, ma le misure introdotte, come il divieto di pubblicazione integrale delle ordinanze cautelari, sollevano dubbi sul reale rispetto per il ruolo critico dei media. Anche il tema dell’equo compenso per i giornalisti, pur accolto con dichiarazioni di principio, resta privo di azioni concrete, mentre l’impatto dell’intelligenza artificiale sul lavoro viene affrontato con discorsi vaghi e privi di risposte operative.

In definitiva, la conferenza stampa ha mostrato un governo che, pur cercando di celebrare i propri successi, appare prigioniero delle proprie contraddizioni. La mancanza di una visione strategica coerente per lo sviluppo economico, tecnologico e geopolitico dell’Italia rischia di compromettere la credibilità e l’efficacia dell’azione di governo. Nel quadro globale sempre più complesso e competitivo, l’Italia ha bisogno di leadership lungimirante, non di una politica che si limita a rincorrere emergenze e consensi a breve termine.