Quando Étienne de La Boétie scrisse il Discorso sulla servitù volontaria, forse non immaginava che le sue parole avrebbero trovato risonanza nei secoli a venire, fino a illuminare dinamiche che attraversano persino gli istituti religiosi. La sua riflessione sull’accettazione volontaria del giogo tirannico si rivela oggi uno specchio straordinario per comprendere come alcune comunità, anche dopo la rimozione di un fondatore da parte della Santa Sede per gravi irregolarità, continuino a venerarlo con ostinata fedeltà. Una condizione che interroga il rapporto tra carisma, potere e libertà spirituale, e che invita a riflettere sul coraggio necessario per ritornare all’essenziale: Cristo.
Non stiamo naturalmente parlando delle comunità storiche dove i fondatori sono stati canonizzati come i SS. Francesco, Domenico, Ignazio, Alfonso, Giovanni Bosco…
Oggi esistono nuove comunità che, anche quando il loro fondatore è stato ufficialmente rimosso dalla Santa Sede per gravi irregolarità, alcuni continuano a venerarlo come un’autorità indiscutibile. Questa ostinata fedeltà, quasi idolatrica, non può che richiamare le dinamiche di servitù analizzate da La Boétie, e ci invita a riflettere su come e perché la libertà spirituale venga talvolta sacrificata sull’altare del carisma individuale.
L’incantesimo del fondatore
La Boétie ci insegna che il potere del tiranno non risiede nella sua forza, bensì nel consenso che i suoi sudditi gli accordano. Similmente, negli istituti religiosi il fondatore spesso si erge a figura dominante non tanto per le sue reali capacità o per la solidità della sua dottrina, quanto per l’aura di sacralità che gli viene attribuita o per una presunta vicinanza a qualche santo contemporaneo come P. Pio, Madre Teresa di Calcutta o Giovanni Paolo II.
Un uomo, una donna, il cui carisma iniziale è stato autentico e fruttuoso, può con il tempo trasformarsi in un leader che esercita un controllo psicologico e spirituale sulla comunità, fino a rendersi insostituibile agli occhi dei suoi seguaci.
Questo “incantesimo” non è privo di basi. La persona del fondatore viene spesso identificata con il carisma stesso dell’istituto. La sua storia, le sue parole, i suoi gesti diventano pietre miliari che sembrano garantire la continuità della missione. Quando però emergono abusi di potere, scandali morali o deviazioni dottrinali, e la Santa Sede interviene per rimuoverlo, la comunità si trova di fronte a una crisi esistenziale: come separare l’eredità spirituale da un leader umano che si è rivelato fallibile?
La manipolazione e la paura
La Boétie sottolinea come i tiranni riescano a perpetuare il loro potere grazie a una combinazione di inganno e paura. Analogamente, in alcune comunità religiose, i membri vengono talvolta manipolati per rimanere fedeli al fondatore anche quando è evidente che costui ha tradito la fiducia riposta in lui. La sacralizzazione della sua figura diventa un’arma potente: criticare il fondatore equivale a tradire il carisma, a ribellarsi contro Dio stesso.
A ciò si aggiunge la paura: paura del cambiamento, paura di perdere l’identità comunitaria, paura di essere esclusi. Spesso, chi osa mettere in discussione il fondatore viene isolato, stigmatizzato, accusato di infedeltà. Si crea un clima di conformismo forzato, in cui la comunità si chiude su sé stessa, rifiutando ogni intervento esterno.
La libertà perduta e la speranza del riscatto
Eppure, La Boétie ci ricorda che la servitù non è un destino inevitabile, ma una scelta. Persino nelle situazioni più complesse, è possibile spezzare le catene dell’idolatria e ritrovare la libertà. Per gli istituti religiosi che vivono questa dinamica di sottomissione, la via del riscatto passa attraverso un ritorno all’essenziale: Cristo.
La vita religiosa non nasce per glorificare un uomo o una donna, ma per testimoniare la presenza di Dio nel mondo. È in Cristo, e non nel fondatore, che risiede il vero carisma. Quando una comunità riesce a mettere Cristo al centro, accettando di lasciarsi purificare dall’intervento della Chiesa, allora la libertà torna a fiorire, insieme alla gioia di una missione rinnovata.
Questo processo di riscatto richiede coraggio. Richiede che i membri dell’istituto siano disposti a guardare in faccia la verità, anche quando è dolorosa, e a riconoscere che l’obbedienza alla Chiesa è una garanzia di autenticità e di fedeltà al Vangelo. Non si tratta di rinnegare il passato, ma di discernere ciò che in esso è veramente opera di Dio, separandolo da ciò che è frutto di debolezza umana.
Un invito alla maturità spirituale
Alla fine del suo discorso, La Boétie lancia un appello alla dignità umana: “Siate risoluti a non servire più, ed eccovi liberi!” Questo invito risuona anche per gli istituti religiosi che si trovano prigionieri di un fondatore caduto. La libertà autentica non si trova nell’adesione cieca, ma nel coraggio di cercare la verità e di abbracciare la missione affidata da Dio.
La Vergine Maria all’Annunciazione chiese all’Arcangelo Gabriele: “Come avverrà questo?” (Lc 1, 34).
Riscoprire la propria identità come comunità di Cristo, al servizio della Chiesa e dell’umanità, è il più grande atto di libertà che un istituto religioso possa compiere. Solo così, spezzando le catene della servitù volontaria, potrà tornare a essere un segno luminoso del Regno di Dio nel mondo.
Mi intriga quella corda che pende al contrario… È come se fosse un frate al contrario come le ambigue figure di fondatori ivi descritti. La nostra famiglia francescana ne ha sofferto, ma ha gli anticorpi contro i fariseismi e i clericalismi.
Mi sembra di riconoscervi la vicenda del fondatore dei frati dell’Immacolata e dei Legionari.
Grazie per questa riflessione acuta che rivela un profondo senso ecclesiale e fine analisi psicologica e sociale della realtà.
Riflessione magistrale per l’accostamento di un autore poco conosciuto ma ricco nel pensiero e l’attualizzazione con la vita religiosa.