Il termine “populismo” è uno dei più utilizzati nel dibattito pubblico contemporaneo, eppure è anche tra i più fraintesi e ambigui. Spesso lo vediamo associato a fenomeni politici che sembrano destabilizzare la democrazia, sia in Occidente che altrove. Ma cosa significa davvero? Secondo la letteratura accademica, il populismo non può essere ridotto a una singola definizione; piuttosto, è un insieme di caratteristiche che, in varie combinazioni, dipingono un quadro complesso. Un elemento chiave è la presenza di un leader carismatico che si erge come voce del “popolo” contro un establishment percepito come corrotto o distante. Tuttavia, non sempre un movimento populista ha un leader: pensiamo a fenomeni come Occupy Wall Street, che sono esplicitamente leaderless e orientati a rifiutare le strutture di potere tradizionali.

Il “popolo” contro l’élite

Un aspetto centrale del populismo è il modo in cui costruisce l’immagine del “popolo”. Questo non è mai la totalità della popolazione, ma un gruppo selezionato, identificato come “le persone comuni” a cui è stata tolta la voce. In altre parole, il popolo è una costruzione retorica, una massa che si sente esclusa dalle opportunità economiche, sociali e politiche e che vede se stessa come vittima dell’élite. Quest’ultima può essere rappresentata da politici tradizionali, media, intellettuali, o persino da istituzioni sovranazionali. Perciò, il populismo si alimenta della frustrazione e della rabbia, e trova forza nella capacità del suo leader di far risuonare questi sentimenti. L’oppressore è spesso vago e multiforme: il “sistema”, il “potere”, o la “burocrazia”. Ma l’obiettivo rimane chiaro: restituire il potere al popolo attraverso un’azione diretta e risolutiva.

Populismo e democrazia: minaccia o sviluppo?

Un grande dibattito tra studiosi è se il populismo rappresenti una minaccia per la democrazia o una sua evoluzione. Nadia Urbinati, ad esempio, ritiene che il populismo non sia solo una reazione contro la democrazia rappresentativa, ma una sua forma mutata: una sorta di “democrazia del pubblico”, in cui il leader si presenta come l’unico portavoce autentico degli interessi della popolazione. In questo modello, il populista non cerca di distruggere la democrazia, ma di ridefinirla, eliminando le mediazioni tradizionali come i partiti e i parlamenti. Si tratta quindi di una democrazia “diretta” nella quale il leader parla direttamente al popolo, spesso bypassando i media tradizionali e utilizzando piattaforme come i social network per creare un contatto immediato e personale.

Il ruolo delle istituzioni: sono davvero così fragili?

La retorica allarmista spesso descrive il populismo come un pericolo imminente per la stabilità democratica. Tuttavia, ci sono autori come Kurt Weyland che rifiutano questa visione catastrofista. Le democrazie liberali, sostiene Weyland, sono molto più resilienti di quanto si creda. Nonostante l’ascesa di figure come Donald Trump negli Stati Uniti o Viktor Orbán in Ungheria, le istituzioni democratiche hanno dimostrato di poter resistere. Weyland indica che la maggior parte dei movimenti populisti non riesce a trasformare le democrazie in regimi autoritari a meno che non si verifichino due condizioni specifiche: la presenza di un’opportunità congiunturale (come una grave crisi economica o una pandemia) e una debolezza strutturale nelle istituzioni. Questo significa che, per la maggior parte dei paesi occidentali, il populismo è una sfida seria ma non una minaccia esistenziale.

Le vere radici del populismo: Esclusione e disuguaglianza

Il populismo non nasce nel vuoto. È il risultato di tensioni sociali ed economiche accumulate nel tempo. La globalizzazione, l’aumento delle disuguaglianze, la percezione di perdita di potere da parte delle classi medie e lavoratrici, e l’incapacità della politica tradizionale di rispondere a questi bisogni reali sono tutti fattori che alimentano il fuoco populista. Non è un caso che il populismo emerga con forza in contesti dove il senso di esclusione è più marcato. Nel Regno Unito, la Brexit è stata in gran parte sostenuta da chi si sentiva dimenticato dall’establishment politico ed economico. Negli Stati Uniti, Trump ha vinto facendo leva sulla frustrazione delle aree rurali e industriali in declino. In Italia, movimenti come il Movimento 5 Stelle hanno raccolto il malcontento di chi si sentiva tradito da un sistema corrotto.

Il pericolo dell’esclusione e della polarizzazione

Sebbene non tutti i populismi siano minacce immediate alla democrazia, c’è un rischio tangibile nella loro capacità di dividere ulteriormente la società. L’identificazione del popolo con una sola parte della popolazione – i “bravi cittadini” contro “gli altri” – crea una polarizzazione che può sfociare in conflitti sociali violenti e in un degrado del dibattito pubblico. La politica diventa un gioco a somma zero, dove ogni concessione all’avversario è vista come un tradimento. Questo degrado del dialogo è esacerbato dalla retorica populista, che spesso esclude il compromesso e alimenta un clima di sospetto verso chiunque non si allinei con la propria visione.

Il populismo è qui per restare?

Il populismo non è un’anomalia temporanea destinata a svanire con il ritorno della “normalità” politica. Al contrario, è una risposta (anche se imperfetta) a problemi reali e persistenti. La vera domanda non è se il populismo scomparirà, ma come le democrazie liberali sceglieranno di rispondere. Se i partiti tradizionali e le istituzioni continueranno a ignorare il senso di esclusione che alimenta questi movimenti, il populismo rimarrà una forza potente e destabilizzante. È necessario un rinnovamento della politica che metta al centro l’ascolto dei cittadini, che riduca le disuguaglianze e che risponda ai bisogni delle persone con azioni concrete, non con slogan.

Nel frattempo, il populismo ci ricorda che la democrazia non è mai garantita, ma va costantemente costruita e difesa. Rifiutare l’allarmismo è saggio, ma anche abbassare la guardia lo è. Come cristiani e come cittadini, dobbiamo impegnarci a creare una società dove tutti si sentano davvero inclusi, perché solo così potremo disinnescare la retorica divisiva e costruire un futuro più giusto e pacifico per tutti.