I progressi dell’informatica e lo sviluppo delle tecnologie digitali negli ultimi decenni hanno già iniziato a produrre profonde trasformazioni nella società globale e nelle sue dinamiche.
Nel sentiero di favorire scenari di pace attiva, diventa strategico valutare la vulnerabilità delle catene di approvvigionamento, valutando i rapporti di collegamento e di dipendenza, le prospettive di ricerca e sviluppo di tecnologie alternative capaci di contribuire alla riduzione della vulnerabilità degli approvvigionamenti globali, promuovendo una diversificazione tecnologica e una sostenibilità digitale.
La diaconia del “servire” il bene comune si scontra con l’opposta grammatica del “servirsi” delle debolezze dell’ altro al fine di alimentare una logica di controllo e di dipendenza funzionale. I conflitti per la supremazia economica e l’accaparramento delle risorse energetiche, idriche e delle materie prime rendono difficile il lavoro di quanti, ad ogni livello, si sforzano di costruire un mondo giusto e solidale. C’è bisogno di una speranza più grande, che permetta di preferire il bene comune di tutti al lusso di pochi e alla miseria di molti.
Come evidenziato nel messaggio “Intelligenza e pace” per LVII giornata mondiale della pace “la ricerca scientifica e le innovazioni tecnologiche non sono disincarnate dalla realtà e «neutrali», ma soggette alle influenze culturali. In quanto attività pienamente umane, le direzioni che prendono riflettono scelte condizionate dai valori personali, sociali e culturali di ogni epoca. Dicasi lo stesso per i risultati che conseguono: essi, proprio in quanto frutto di approcci specificamente umani al mondo circostante, hanno sempre una dimensione etica, strettamente legata alle decisioni di chi progetta la sperimentazione e indirizza la produzione verso particolari obiettivi.”
In tale direzione è importante uscire dall’anestesia percettiva di matrice tecnicista, valutando la tensione tra la competizione e la cooperazione alla luce del dialogo tra le culture, per innescare geometrie diverse di sostenibilità digitale, alimentate dalla collaborazione inter e transdisciplinare su temi di interesse globale, come la dignità della persona umana, la ricerca del bene comune, la costruzione della pace e lo sviluppo dell’equilibrio internazionale.
L’analisi della complessità globale e locale, per essere produttiva, deve svolgersi con una umiltà attiva e vivente, nutrendo un sincero rispetto per gli altri in uno spirito di riconciliazione e di fraternità, interpolando i valori della pace, della giustizia, del bene, della bellezza, della fratellanza umana e della convivenza comune. L’àncora della valutazione integrale è il processo di relazione empatica, di sguardo oltre i muri, nella consapevolezza che nessuno si può salvare da solo e che sia necessario costruire il futuro adottando la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio.
Nel solco tracciato nel messaggio Intelligenza artificiale e pace “la dignità intrinseca di ogni persona e la fraternità che ci lega come membri dell’unica famiglia umana devono stare alla base dello sviluppo di nuove tecnologie e servire come criteri indiscutibili per valutarle prima del loro impiego, in modo che il progresso digitale possa avvenire nel rispetto della giustizia e contribuire alla causa della pace.
Gli sviluppi tecnologici che non portano a un miglioramento della qualità di vita di tutta l’umanità, ma al contrario aggravano le disuguaglianze e i conflitti, non potranno mai essere considerati vero progresso”. In tale prospettiva è necessario cambiare in profondità la logica dello sviluppo della policy mondiale, con una chiara messa in valore dell’intelligenza artificiale e della ragionevolezza della cooperazione. Non sono sufficienti gli atti di pace in senso formale se essi non creano stati di pace in senso sostanziale, eliminando gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
La via della pace deve alimentarsi nella globalizzazione della solidarietà come sinfonia delle diversità, grande concerto di relazioni, non come un concerto di potenze. La relazionalità è elemento essenziale per cambiare lo sguardo verso un diritto vivente che innesca il dovere internazionale e inderogabile di solidarietà politica, economica e sociale, come base multilaterale per il passaggio ad un grado superiore di ordinamento globale vocato al plenitudo iuris, plenitudo civitatis.
L’immensa espansione della tecnologia deve quindi essere accompagnata dalla sostenibilità digitale con un’adeguata formazione alla responsabilità per il suo sviluppo. La questione è fondamentalmente una questione umana e, per realizzare il passaggio dal dominio dispotico del paradigma tecnocratico, alla cura e custodia della nostra casa comune, è urgente avviare autentici programmi formativi di diplomazia digitale. Questi devono essere atti a promuovere una nuova cultura, protesa al senso di responsabilità inter-generazionale e di appartenenza piena al Creato.
“È l’umanità che ha bisogno di cambiare. Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti. Questa consapevolezza di base permetterebbe lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge così una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione” (Cf. LS 82). La libertà e la convivenza pacifica sono minacciate quando gli esseri umani cedono alla tentazione dell’egoismo, dell’interesse personale, della brama di profitto e della sete di potere.
Alla luce di premesse così rilevanti, istituzioni e cittadini sono invitati a guardare lontano, insieme, nella fratellanza di una co-costruzione del futuro dell’ intera umanità.
Abbiamo perciò il dovere di allargare lo sguardo e di orientare la ricerca tecnico-scientifica al perseguimento della pace e del bene comune nel solco dell’isonomia, formale e sostanziale, cuore dell’ecologia integrale, nonché bussola di orientamento per il pieno sviluppo dell’uomo e per l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale. L’ambiente come bene collettivo è patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti.
Chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti, nella consapevolezza che tutti gli esseri dell’universo sono uniti da legami invisibili e formano una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile (Cf. LS 89).