La rielezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti rappresenta un momento cruciale per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che vede nell’amministrazione Trump un’opportunità unica per consolidare i successi militari di Israele e riallineare l’intero Medio Oriente. Tuttavia, le ambizioni del governo israeliano, spinto dall’estrema destra, rischiano di creare un equilibrio instabile, sia a livello regionale che nelle relazioni con gli Stati Uniti.
Un Medio Oriente in trasformazione
Israele, dopo oltre un anno di conflitto con Hamas e Hezbollah, ha compiuto significativi progressi sul piano militare. Hamas ha subito perdite devastanti, con la distruzione della sua rete di tunnel e l’eliminazione di gran parte dei suoi leader. Hezbollah, un tempo considerato il più forte alleato dell’Iran nella regione, ha subito un duro colpo con l’assassinio del suo leader Hassan Nasrallah e la perdita di ingenti risorse militari. L’Iran stesso è stato bersaglio di attacchi mirati che hanno compromesso le sue infrastrutture militari e nucleari.
In questo contesto, Netanyahu e il suo governo vedono la rielezione di Trump come un’opportunità per rafforzare il controllo israeliano sulla Cisgiordania, stabilire una presenza militare duratura a Gaza e, in ultima analisi, ridisegnare gli equilibri di potere nella regione. La coalizione di governo, composta da figure come Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, punta a consolidare l’espansione territoriale israeliana e a seppellire definitivamente l’idea di una soluzione a due stati.
Le illusioni di una “vittoria totale”
Nonostante i successi tattici sul campo di battaglia, l’idea di una vittoria definitiva contro Hamas, Hezbollah e l’Iran è irrealistica. Questi attori, sebbene indeboliti, hanno dimostrato una resilienza notevole e la capacità di riorganizzarsi. Gli attacchi missilistici contro Israele continuano a destabilizzare la vita quotidiana della popolazione, mentre l’occupazione prolungata di Gaza e del Libano meridionale rischia di trasformarsi in un pantano strategico, simile al Vietnam per gli Stati Uniti.
Inoltre, il governo israeliano non ha sviluppato un piano chiaro per la governance post-bellica a Gaza. La prospettiva di una presenza militare permanente nella Striscia comporta enormi costi umani, economici e politici, con il rischio di alimentare ulteriormente il risentimento e la radicalizzazione nella popolazione palestinese.
Le incertezze del sostegno di Trump
L’entusiasmo di Netanyahu per la rielezione di Trump si basa sulla percezione che l’ex presidente sarà un alleato incondizionato di Israele. Tuttavia, questa aspettativa potrebbe rivelarsi illusoria. Trump ha già mostrato in passato una certa imprevedibilità nelle sue decisioni di politica estera e una riluttanza a impegnarsi in conflitti militari prolungati. Sebbene abbia espresso sostegno a Israele, ha anche manifestato il desiderio di “concludere rapidamente le guerre” e di evitare impegni costosi per gli Stati Uniti.
Inoltre, la politica di Trump verso il Medio Oriente potrebbe non essere così favorevole come spera Netanyahu. Durante il suo primo mandato, Trump aveva proposto un piano di pace israelo-palestinese che includeva una forma di stato palestinese, suscitando critiche da parte dell’estrema destra israeliana. La sua riluttanza a entrare in nuovi conflitti potrebbe limitare il sostegno militare e diplomatico a Israele, soprattutto se le operazioni israeliane continueranno a generare critiche internazionali.
Le pressioni internazionali e interne
Israele deve anche fare i conti con una crescente pressione internazionale. Francia, Germania e Regno Unito hanno già limitato le esportazioni di armi verso Israele, mentre le Nazioni Unite e la Corte Penale Internazionale hanno intensificato le critiche alle operazioni israeliane a Gaza. Queste tensioni potrebbero isolare ulteriormente Israele sulla scena mondiale, soprattutto se l’amministrazione Trump non sarà disposta a fornire una copertura diplomatica totale.
A livello interno, Netanyahu affronta un’opposizione crescente. Le famiglie degli ostaggi ancora detenuti da Hamas e le comunità di riservisti, stanche di una guerra senza fine, stanno aumentando la pressione sul governo. La gestione della guerra ha anche esacerbato le tensioni all’interno della coalizione di governo, con Smotrich e Ben-Gvir che chiedono un’espansione territoriale aggressiva, in contrasto con gli appelli per una de-escalation da parte dell’establishment della sicurezza israeliana.
Un futuro incerto
Netanyahu si trova a un bivio. Da un lato, deve gestire le aspettative della sua coalizione di estrema destra, che spinge per un’agenda espansionista e militarista. Dall’altro, deve mantenere il sostegno degli Stati Uniti e navigare le crescenti critiche internazionali. Il ritorno di Trump offre un’opportunità, ma anche rischi significativi. Una strategia basata esclusivamente sulla forza militare e sull’espansione territoriale potrebbe alienare i partner internazionali di Israele e alimentare ulteriori conflitti.
Per garantire la sicurezza a lungo termine di Israele, Netanyahu dovrà bilanciare le sue ambizioni con la realtà delle dinamiche regionali e internazionali. Senza un approccio più equilibrato e pragmatico, il rischio è che Israele si ritrovi isolato e intrappolato in una spirale di conflitti che minano la sua stabilità e sicurezza.