L’antropologo gesuita Ludovic Lado in una recente intervista sul quotidiano francese “La Croix”, rivela alcuni aspetti dell’evoluzione della Chiesa cattolica in Africa. Per lo studioso che è anche direttore del Centro di Formazione per lo Sviluppo (CEFOD) a N’Djamena in Ciad, la Chiesa in Africa sta attraversando un periodo cruciale, segnato dal passaggio della leadership dai missionari europei al clero locale. Questo processo, noto come “africanizzazione del clero”, rappresenta una tappa fondamentale nella storia delle chiese post-coloniali, ma porta con sé una serie di sfide significative.

Uno dei principali problemi riguarda la gestione delle infrastrutture ecclesiastiche, che, ereditate dai missionari europei, stanno progressivamente deteriorandosi. Chiese, presbiteri e seminari, un tempo sostenuti dalle risorse economiche provenienti dall’Europa e dal Vaticano, ora devono affrontare una riduzione dei finanziamenti, che rappresentano circa un terzo del budget necessario per la formazione sacerdotale. Questa situazione sta portando a una riflessione sulla necessità di reinventare il funzionamento dei seminari e di cercare nuove forme di sostentamento.

Inoltre, l’evangelizzazione durante l’epoca coloniale ha lasciato un’impronta profonda nelle comunità africane, creando un’aspettativa di assistenza da parte della Chiesa. Questa dipendenza rende difficile per i sacerdoti africani, che dispongono di risorse limitate rispetto ai loro predecessori, soddisfare le aspettative della popolazione.

Un’altra sfida per il clero africano è il crescente clericalismo. Molti sacerdoti si trovano a dover gestire un carico di lavoro enorme, con la celebrazione di numerose messe ogni domenica, rendendo difficile mantenere un rapporto stretto con tutti i parrocchiani. A questo si aggiunge il rischio di un certo “imborghesimento”, con alcuni membri del giovane clero che sembrano preferire il comfort alla condivisione delle difficoltà quotidiane della popolazione. In un contesto di instabilità, il prete può trovarsi protetto, ma rischia di perdere il contatto con i più emarginati.

Nonostante la crescente presenza di africani a Roma, l’integrazione completa nel contesto della Chiesa universale non è ancora garantita. Il concetto di teologia africana, ad esempio, non è pienamente riconosciuto in alcuni ambienti ecclesiastici, e l’influenza occidentale persiste, limitando l’apporto delle prospettive africane.

Perché la Chiesa africana possa trovare pienamente il suo posto nella Chiesa universale, è necessario che essa porti un contributo singolare, capace di trasformare le strutture sociali e di innovare nella spiritualità. Tuttavia, l’innovazione pastorale e teologica è stata in parte abbandonata dagli anni ‘90, con l’emergere di questioni sociopolitiche che hanno preso il sopravvento sulla riflessione spirituale.

La sfida per la Chiesa africana è ora quella di trovare innovazioni credibili, che le permettano di radicare la spiritualità nella cultura locale e di affrontare le numerose difficoltà presenti nel continente. Solo così potrà emergere una Chiesa africana con una voce propria e un’influenza globale.