Con l’inizio del secondo mandato di Donald Trump alla Casa Bianca, l’America Latina – e in particolare il Messico – si trova davanti a una sfida storica. La retorica e le promesse del neo-presidente degli Stati Uniti sembrano molto più di un esercizio di stile: rappresentano una dichiarazione d’intenti che potrebbe trasformarsi rapidamente in azioni concrete, grazie anche alla maggioranza repubblicana in entrambe le Camere del Congresso. Un panorama che preoccupa non solo i governi della regione, ma anche la Conferenza Episcopale Messicana (CEM), che ha già suonato l’allarme su possibili interventi statunitensi.

Il Messico come “Estrecho de Gibraltar”

Una delle iniziative più controverse annunciate da Trump è l’intenzione di militarizzare ulteriormente la frontiera tra Stati Uniti e Messico. L’idea di impiegare la Guardia Nazionale e altre forze per impedire l’ingresso di migranti e deportare coloro che si trovano illegalmente sul territorio statunitense, non importa la loro nazionalità, rappresenta un salto qualitativo nella gestione della migrazione. Il Messico potrebbe diventare un vero e proprio muro umano, un “Stretto di Gibilterra” tra il Nord e il Sud del continente americano.

Ma le implicazioni di questo approccio non si fermano qui. Trump ha anche annunciato l’intenzione di designare i cartelli della droga come organizzazioni terroristiche. Una mossa che, secondo il documento della CEM, potrebbe aprire la strada a interventi violenti da parte degli Stati Uniti, inclusi attacchi mirati con droni o operazioni militari sul suolo messicano. La possibilità che la sovranità messicana venga compromessa, con operazioni condotte senza il consenso del governo federale, non è più solo un’ipotesi remota, ma una prospettiva inquietante.

DEA, CIA e FBI: l’ombra dell’ingerenza statunitense

La CEM sottolinea inoltre che l’amministrazione Trump potrebbe aumentare la pressione sul Messico per consentire alle agenzie statunitensi – DEA, CIA e FBI – di operare con maggiore libertà sul territorio. Se questo scenario si materializzasse, si tratterebbe di un colpo alla sovranità messicana, già messa a dura prova da decenni di collaborazione ambigua con le autorità statunitensi nella lotta al narcotraffico. A ciò si aggiungerebbe il rischio di sanzioni economiche e la congelazione di beni a qualsiasi entità sospettata di collaborazione con gruppi considerati terroristici.

La retorica di Trump, che ha parlato di una presunta “sottomissione” del governo messicano ai cartelli della droga, è già di per sé esplosiva. Ma la proposta di rinominare il Golfo del Messico come “Golfo d’America” – con implicazioni territoriali e petrolifere – rappresenta un’ulteriore provocazione che mina la dignità e la sovranità del Messico.

Un’agenda imperiale in America Latina

L’attenzione di Trump, tuttavia, non si limita al Messico. Il suo secondo mandato potrebbe segnare un’accelerazione verso un’agenda geopolitica più aggressiva in tutta l’America Latina. Il tentativo di recuperare il controllo del Canale di Panama, ad esempio, è un segnale chiaro di questa ambizione. Dopo la morte dell’ex presidente Jimmy Carter, che aveva riconosciuto la sovranità panamense sul canale, Trump sembra intenzionato a mettere in discussione quell’accordo, accusando il governo di Panama di essere troppo vicino agli interessi cinesi.

Questa mossa, che mira a recuperare un’infrastruttura strategica fondamentale per il commercio globale, è solo uno degli elementi di un piano più ampio che include persino la speculazione sulla possibile integrazione del Canada negli Stati Uniti e l’acquisto della Groenlandia.

Un’America Latina sotto assedio

L’insieme di queste iniziative riflette una visione del continente latinoamericano non come partner, ma come un’area da dominare e sfruttare. Il Messico, con la sua vicinanza geografica e la sua dipendenza economica dagli Stati Uniti, è il primo obiettivo di questa strategia, ma l’intera regione rischia di subire conseguenze devastanti. La militarizzazione, l’ingerenza nelle politiche interne e il controllo delle risorse naturali sono parte di un’agenda che sembra riportare indietro le lancette della storia, evocando il vecchio interventismo americano del XX secolo.

L’appello della Chiesa e il futuro della regione

Di fronte a questo scenario, il documento della CEM rappresenta non solo un grido d’allarme, ma anche un invito a riflettere sul ruolo del Messico e dell’America Latina nel difendere la propria sovranità e dignità. La Chiesa messicana si erge come una delle poche voci che denuncia apertamente i rischi di questa deriva e invita il governo federale, guidato da Claudia Sheinbaum, a prepararsi a resistere a queste pressioni.

La sfida per l’America Latina è chiara: trovare un equilibrio tra la necessità di collaborare con gli Stati Uniti e il bisogno di proteggere la propria indipendenza. La solidarietà tra i paesi della regione, unita a una diplomazia forte e a una visione condivisa, potrebbe rappresentare l’unica via d’uscita da un futuro che altrimenti rischia di essere segnato da un nuovo ciclo di dominazione e conflitto.

Il secondo mandato di Trump potrebbe essere il banco di prova per la capacità dell’America Latina di affermarsi come attore autonomo sulla scena globale. Ma per farlo, sarà necessario che la regione parli con una sola voce, mettendo al centro il rispetto dei diritti umani, la giustizia sociale e la cooperazione internazionale come alternative alla logica della forza e del controllo.