Il tema dell’affettività, della sessualità e dell’amore cristiano è una delle questioni più complesse e delicate che la Chiesa si trovi a dover affrontare nel mondo contemporaneo. Parlare di amore nel cristianesimo è all’ordine del giorno, eppure raramente questo discorso viene radicato nella nostra realtà concreta di esseri umani emotivi, corporei, pieni di desideri e pulsioni. L’affettività non riguarda soltanto l’amore in senso spirituale, ma tocca la nostra capacità di amare in quanto esseri appassionati, desiderosi di intimità, sessuali e a volte anche confusi nel cercare di armonizzare tutte queste dimensioni.

Il cristianesimo, per sua stessa natura, è la religione più corporea che esista: il mistero dell’incarnazione è un inno alla carne, un’apologia della bontà del corpo umano e della sua capacità di essere tempio di Dio. La fede cristiana ci insegna che Dio non solo ha creato questi corpi, ma li ha dichiarati “molto buoni”. Eppure, è proprio sul tema della sessualità e dell’affettività che la Chiesa spesso inciampa, con il risultato che molti fedeli vedono le sue parole come distanti, astratte e prive di autorità.

Un amore da vivere nella carne

C’è una certa ironia in tutto questo. La Chiesa annuncia la bellezza dell’incarnazione e della risurrezione del corpo, celebra l’Eucaristia — il sacramento che unisce spirito e corpo nel dono totale di Cristo — e tuttavia trova difficoltà a parlare in modo autentico della nostra sessualità e affettività. Dovrebbe essere il contrario: il cristianesimo ha le risorse per essere la voce più autorevole quando si parla di amore incarnato, proprio perché ha un approccio integrale alla persona umana. Crediamo che Dio sia entrato nella nostra carne in Gesù Cristo, e quindi dovrebbe esserci naturale discutere della nostra sessualità come parte di ciò che siamo chiamati a redimere e a vivere in pienezza.

Quando la Chiesa parla di affettività, però, rischia di presentarla solo in termini di proibizioni e limiti: un’etica basata sul “non si può”. Questo approccio non solo è inefficace, ma tradisce anche la stessa visione cristiana della persona come un tutt’uno integrato, in cui corpo e spirito si intersecano continuamente. La vera sfida è insegnare come essere uomini e donne che amano nella pienezza delle loro dimensioni — emotive, fisiche e spirituali — in modo maturo e libero, senza scivolare né nel puritanesimo né nel permissivismo.

La dimensione sacramentale dell’amore

Un aspetto centrale che troppo spesso dimentichiamo è il legame profondo tra il dono sessuale e l’Eucaristia. Può sembrare inusuale, e forse addirittura irriverente, collegare la sessualità umana a un sacramento, ma consideriamo un momento le parole pronunciate da Gesù durante l’Ultima Cena: Questo è il mio corpo, offerto per voi. L’Eucaristia è il dono del corpo di Cristo a noi, un dono totale, un sacrificio di sé che genera vita. Analogamente, l’unione sessuale tra due persone è chiamata a esprimere un dono totale, un “Eccomi qui, tutto ciò che sono è per te”. Se vissuto così, diventa un atto profondamente sacro e spirituale, che trascende la mera fisicità per diventare un linguaggio d’amore.

Il problema sorge quando la nostra cultura riduce il corpo a un oggetto che possediamo e usiamo a nostro piacimento. Vediamo il corpo come qualcosa che possiamo manipolare, piuttosto che come il riflesso vivente della nostra identità. Ma se l’amore cristiano è dono, il corpo deve essere vissuto come una realtà da donare e da accogliere con rispetto e cura. L’Eucaristia ci insegna che amare non significa prendere, ma offrire. E questo è vero per ogni relazione umana, non solo per la sessualità: ogni forma d’amore autentico implica il sacrificio e la vulnerabilità.

L’affettività e la crisi della maturità

Imparare ad amare è un cammino che passa attraverso molte crisi. Gesù all’Ultima Cena ha vissuto la crisi del tradimento, del fallimento dell’amore, della fuga dei suoi amici. Eppure, proprio in quel momento ha scelto di fare della sua vita un dono radicale, trasformando la sconfitta in un atto di offerta. Ogni vocazione umana, sia essa matrimoniale, religiosa o sacerdotale, attraversa crisi analoghe, momenti in cui ci sembra che il mondo ci crolli addosso e l’amore sembri impossibile.

Per molti, queste crisi sorgono quando le fantasie di perfezione si scontrano con la realtà. Il giovane sposo o la giovane sposa scoprono che il matrimonio non è l’idillio promesso, ma un impegno duro e quotidiano. Il sacerdote scopre che la vita di celibato può essere solitaria e che il ministero non è sempre soddisfacente. È in questi momenti che siamo chiamati a fare la scelta radicale di amare comunque, di rimanere fedeli al nostro impegno, non perché sia facile, ma perché è vero.

Stare con i piedi per terra

Il cristianesimo ci chiede di “stare con i piedi per terra”, di incarnarci nella nostra vita reale, nei nostri corpi, nei nostri desideri. Questo significa imparare a parlare apertamente di affettività e sessualità, riconoscendo che sono parte integrante di ciò che siamo e del nostro cammino verso Dio. Significa accettare che l’amore è rischioso e che possiamo farci male, ma che chiudersi al desiderio è ancora più pericoloso, perché ci allontana dalla realtà.

Gesù, nell’Eucaristia, ha preso il pane e lo ha spezzato, offrendolo a tutti: ha reso il suo amore un dono concreto e condiviso. L’affettività cristiana deve fare lo stesso. Non possiamo rinchiudere i nostri amori in piccoli mondi privati e segreti, ma dobbiamo aprirli e condividerli, affinché possano essere fonte di vita per gli altri.

Il coraggio di amare

L’amore cristiano non è un amore perfetto, asettico o ultraterreno: è un amore che abbraccia tutta la nostra umanità, con le sue luci e le sue ombre. Siamo chiamati ad amare non come angeli, ma come esseri umani, con tutto ciò che comporta.

La Chiesa vuole davvero annunciare il Dio che è amore, e alla luce del recente Magistero, soprattutto da S. Giovanni Paolo II in poi, è pronta a parlare apertamente della sessualità e dell’affettività. Non si tratta di imporre regole e divieti, ma di presentare nel coraggio della fede che ci è donata e del messaggio rivelato e testimoniato, la forza trasformatrice dell’amore incarnato. Se così non fosse, rischiamo di non avere nulla da dire a un mondo che cerca disperatamente un amore che sia vero, pieno e completo.