La crisi politica che sta sconvolgendo la Corea del Sud non solo scuote le istituzioni e la società, ma mette anche in evidenza profonde divisioni all’interno delle comunità cristiane. Il presidente sospeso Yoon Suk-yeol, accusato di aver tentato di imporre la legge marziale il 3 dicembre 2024, ha trovato un sostegno acceso in alcune correnti religiose, mentre altre hanno preso nettamente le distanze dai suoi metodi.

Radicalizzazione religiosa e politica

In un Paese dove circa il 30% della popolazione è cristiana, il connubio tra religione e politica emerge con forza. Tra i sostenitori del presidente destituito, il pastore Jeon Kwang-hoon, figura di spicco dell’estrema destra, utilizza retoriche violente contro l’opposizione e le istituzioni, definendole corrotte e preda di “forze del male”. Questo tipo di discorso, profondamente divisivo, ha attirato critiche da parte di molti, inclusa la polizia, che ha aperto un’indagine su di lui per incitazione alla violenza.

Le Chiese presbiteriane conservatrici, storicamente vicine al potere, hanno avuto un ruolo di sostegno durante i regimi militari, un’eredità che oggi si manifesta nella loro influenza politica. Tuttavia, non rappresentano l’intero spettro protestante del Paese. Il Consiglio nazionale delle Chiese di Corea, organizzazione che riunisce le principali comunità protestanti, ha riaffermato il proprio impegno verso i valori democratici, condannando le azioni del presidente Yoon.

L’approccio cattolico: un ruolo moderatore

Diverso è il panorama cattolico, che conserva una tradizione di impegno democratico. Durante i regimi autoritari, il clero cattolico era in prima linea nelle manifestazioni a favore della democrazia, e questa memoria storica ha portato la maggior parte dei cattolici a rigettare il tentativo di colpo di Stato del presidente Yoon. Tuttavia, c’è chi propone un passo indietro. Mons. Lee Yong-hoon, presidente della Conferenza episcopale di Corea, ha sottolineato la necessità di lasciare alle istituzioni il compito di stabilizzare il Paese, suggerendo che il clero si concentri maggiormente sulla dimensione spirituale piuttosto che politica.

Questa posizione trova eco nelle parole del padre Christophe Bérard, delle Missioni Estere di Parigi, secondo cui, in una democrazia ormai consolidata come quella sudcoreana, spetta ai laici impegnarsi direttamente nella vita politica, mentre il clero dovrebbe limitarsi a sostenere spiritualmente e fraternamente chi opera per il bene comune.

Una Chiesa e una società in cerca di equilibrio

Il caso sudcoreano solleva una questione cruciale: quale deve essere il ruolo delle Chiese in un contesto democratico? Da un lato, vi è la tentazione di utilizzare il pulpito come piattaforma politica, mentre dall’altro emerge la necessità di distinguere chiaramente tra la sfera religiosa e quella pubblica. La radicalizzazione religiosa non solo polarizza il dibattito politico, ma rischia di compromettere la credibilità delle istituzioni ecclesiastiche.

La posizione moderata adottata dalla Chiesa cattolica potrebbe rappresentare un modello per altre comunità cristiane. L’impegno per la giustizia e la democrazia è importante, ma dovrebbe sempre essere accompagnato da un profondo rispetto per il pluralismo e per la capacità delle istituzioni di risolvere le crisi.

Il ruolo della religione nella politica coreana

La vicenda coreana mette in luce dinamiche che non riguardano solo la Corea del Sud, ma si applicano anche ad altre realtà dove la religione si intreccia con il potere politico. Il rischio di radicalizzazione è sempre dietro l’angolo quando i leader religiosi cercano di legittimare le proprie posizioni attraverso un mandato divino. Questo fenomeno non solo mina la coesione sociale, ma strumentalizza la fede, trasformandola in un’arma ideologica.

D’altro canto, la posizione equilibrata della Chiesa cattolica coreana offre una lezione importante: la politica non deve essere un campo di battaglia per le Chiese, ma un’occasione per promuovere valori condivisi come la pace, la giustizia e il dialogo. In una società pluralista e democratica, il contributo delle comunità religiose dovrebbe essere quello di costruire ponti, non di alimentare divisioni.