Pensava che mettendosi alle spalle quella relazione ormai diventata tossica il peggio sarebbe presto passato. Invece, l’incubo era appena alle battute iniziali. Sua moglie, in seguito diventata ex, avrebbe fatto di tutto per rendergli la vita un inferno costellato di minacce, pedinamenti e aggressioni fisiche: «Tu non vuoi capire che non puoi fare niente, io sono donna e la legge protegge me… hai voglia di andare dai Carabinieri con tutte le denunce che hai fatto».
Questa è la drammatica storia di un uomo, uno stimato professionista dell’hinterland orientale di Napoli, che si è ritrovato, suo malgrado, persino costretto a chiudere lo studio di fisioterapia che aveva da poco aperto pur di proteggere l’incolumità dei propri pazienti. Un uomo che ha vissuto sulla propria pelle quello che troppo spesso viene sottovalutato: anche gli uomini possono essere vittime di violenza domestica.
La giustizia, lenta ma inesorabile, ha però fatto il proprio corso e per la donna, a marzo dello scorso anno, è arrivata una condanna in primo grado a due anni con sospensione della pena subordinata a specifici percorsi di recupero. La condanna, il 19 giugno, è stata confermata dalla quarta sezione della Corte di appello di Napoli presieduta dal giudice Luisa Toscano. Oltre alle aggressioni e alle denigrazioni in presenza dei due figli, la 45enne di San Sebastiano al Vesuvio – finita a processo per le accuse di atti persecutori, lesioni personali e per aver impedito al marito dal quale è oggi separata di vedere i figli – era arrivata anche a danneggiare l’automobile dell’uomo, che in diverse occasioni era stato persino pedinato, oltre che da lei, anche da alcune persone che incaricava per sapere sempre dove si trovasse.
La stalker, dal canto suo, contestava all’uomo di avere versato solo parzialmente l’assegno di mantenimento, come confermato anche dalla vittima, ma, è stato sottolineato dai giudici, la circostanza «non può costituire una ragione sufficiente a giustificare la ritorsione della donna di non fargli vedere i figli». Sono tantissimi gli episodi di aggressioni, ingiurie e offese, anche in presenza dei figli in lacrime, raccontati dall’uomo che hanno determinato uno stato d’ansia e un cambio delle sue abitudini di vita.
Dalla lettura della sentenza si apprende poi che in almeno due occasioni le tensioni tra i due sarebbero sfociate in altrettanti spargimenti di sangue. Il primo risale ad agosto 2016, appena un mese dopo la decisione del fisioterapista di interrompere la relazione e andare via di casa. In quel frangente, l’uomo, pur di stemperare la tensione, decide di organizzare una vacanza a Olbia con i due figli minori e la donna. La situazione precipita dopo pochi giorni, quando al culmine di una lite furibonda lei impugna un coltello e ferisce il marito alla schiena. La vittima decide però in seguito di rimettere la querela. Una mossa che si rivelerà fatale. Gli atti persecutori, infatti, non soltanto proseguono, ma addirittura si intensificano, così come le minacce: «Ti faccio chiudere lo studio», «Ti faccio picchiare» e ancora «Non ti farò più vedere i figli». La donna, sempre secondo la ricostruzione dei fatti resa dalla vittima, sosteneva anche di avere amicizie in Polizia e in ambienti criminali, che non avrebbe esitato a utilizzare contro di lui. Il 16 ottobre 2017 l’ennesima aggressione fisica, con il fisioterapista che si ritrovò a essere malmenato dalla ex moglie e dal primo figlio.
Questi episodi drammatici, che hanno spinto i giudici di appello a ribadire «l’affermazione di responsabilità dell’imputata per tutti i reati a lei ascritti», portano alla conferma della condanna a due anni. Questa storia, per quanto estrema, mette in luce una verità scomoda: la violenza domestica non ha genere. Anche gli uomini possono essere vittime di abusi e vessazioni, e meritano di essere ascoltati e protetti al pari delle donne.
In un contesto sociale in cui i femminicidi occupano giustamente l’attenzione dei media e delle istituzioni, è fondamentale ricordare che la violenza può manifestarsi in molte forme diverse e che chiunque può esserne vittima. Ridurre il problema della violenza domestica a una questione di genere rischia di lasciare senza voce molte vittime, uomini compresi, che soffrono in silenzio per paura di non essere creduti o per vergogna. La giustizia deve essere equa e imparziale, garantendo protezione e sostegno a tutte le vittime di violenza, indipendentemente dal loro sesso.