Il presidente francese Emmanuel Macron ha indicato il netto peggioramento della situazione di sicurezza in Mali, Burkina Faso e Niger dopo il ritiro delle truppe dall’operazione Barkhane, su richiesta delle giunte che hanno preso il potere. Alla prova dei fatti questa analisi è confermata?
Nel Sahel, la situazione non è migliore dalla partenza dei soldati francesi, ma era già peggiorata sensibilmente in Mali e Burkina Faso in loro presenza.
Stiamo assistendo a un’accelerazione in questo processo di deterioramento e a un cambiamento nella natura della violenza.
I civili sono infatti sempre più presi di mira dagli attori del conflitto.
Le modalità di impegno delle forze governative sembrano essere cambiate: c’è meno moderazione, soprattutto tra i volontari pro-governativi in Burkina Faso o tra i paramilitari di Wagner in Mali.
Interi villaggi, sospettati di collusione con i gruppi jihadisti, possono essere oggetto di spedizioni punitive.
In Mali, in particolare, lo stato era già assente da intere aree del paese. Inoltre, se i jihadisti hanno rafforzato le loro capacità di circondare grandi città come Timbuktu, non le controllano.
Dalla partenza della forza Barkhane, circolano più facilmente ma nessuna nuova regione, nessuna città è caduta nelle loro mani.
Non stanno per instaurare un califfato nella zona del Sahel, anche se questa opzione non può essere esclusa nei prossimi anni.
Si nota che le truppe di Bamako, sostenute da Wagner, vanno più in contatto che in passato con i gruppi armati, senza riuscire a riprendere veramente il controllo di territori sostanziali ai jihadisti.
La vicinanza tra i soldati maliani e i paramilitari russi sembra più forte che con Barkhane.
Più che il ritiro dei francesi, è la ripresa del conflitto che si sta delineando nel nord del Mali tra i gruppi armati separatisti e le forze di Bamako che può cambiare la situazione.
Ma Wagner, non più di Barkhane, non ha la soluzione per arginare la violenza nel Sahel.