Mario Draghi nel suo rapporto sul futuro della competitività europea si presenta come un grido d’allarme per l’Europa, che si trova nuovamente a un bivio esistenziale. Così come nel 2012 Draghi dichiarò che la BCE avrebbe fatto “tutto il necessario” per preservare l’euro, oggi ci mette di fronte alla necessità di agire per salvare l’Unione Europea stessa. Il suo messaggio è chiaro: senza un profondo cambiamento, l’Europa rischia di perdere il suo ruolo globale e compromettere il suo modello sociale.
Una sfida alla sopravvivenza europea
Il rapporto descrive una realtà sconfortante: l’Europa è in ritardo rispetto a Stati Uniti e Cina, in particolar modo nella rivoluzione digitale e nell’innovazione tecnologica. La frammentazione è la causa principale, secondo Draghi, di una struttura industriale statica che ostacola lo sviluppo di nuove imprese e frena la crescita. L’Europa non ha prodotto una sola azienda tecnologica paragonabile ai colossi statunitensi e la ricerca e l’innovazione sono ancora dominate dai settori tradizionali come l’automobilismo. In altre parole, l’UE rischia di diventare un “museo industriale”.
Draghi osserva che la situazione non migliorerà se non si intraprendono azioni radicali: senza un aumento della produttività, il PIL europeo potrebbe restare stagnante fino al 2050, con conseguenze gravi per la sua capacità di sostenere il modello sociale e di affrontare le sfide globali. Le crisi geopolitiche, come la guerra in Ucraina, e la perdita di accesso a energia a basso costo dalla Russia, rendono la situazione ancora più precaria.
Una necessità di cambiamento sistemico
Secondo Draghi, la vera piaga dell’Europa è la sua incapacità di agire come un blocco unitario. La frammentazione, l’eccessiva regolamentazione e l’avversione al rischio impediscono un mercato unico efficiente e una politica energetica o di difesa integrata. Il paradosso è che l’UE, pur rappresentando un esperimento unico di integrazione sovranazionale, resta vittima del suo conservatorismo e della sua disunione interna. Per affrontare un mondo sempre più multipolare e conflittuale, l’UE deve rafforzare la propria coesione, investire in settori strategici e adottare una politica industriale ambiziosa e coordinata.
Un esempio chiave citato nel rapporto è Airbus, un simbolo del successo della cooperazione europea in un settore strategico. Draghi argomenta che un approccio simile sia necessario per sviluppare nuove tecnologie, in particolare per affrontare la transizione energetica e costruire una difesa comune. Solo con una visione condivisa e una scala adeguata l’Europa può sperare di competere con le altre superpotenze.
Il rischio del nazionalismo
Tuttavia, come evidenzia Draghi, l’attuazione di queste riforme sarà complessa. Il crescente nazionalismo all’interno di diversi Stati membri rappresenta un ostacolo significativo alla realizzazione di una strategia comune. Questo nazionalismo non solo mina gli sforzi di integrazione, ma rischia di far dimenticare agli europei una lezione essenziale: solo agendo insieme possono sperare di plasmare il loro futuro.
Il rapporto di Draghi è più di un avvertimento; è un richiamo urgente all’azione. L’Europa, che si è già rialzata da altre crisi, può ancora farlo, ma deve dimostrare coraggio politico e unità. L’UE ha bisogno di una visione strategica, di riforme audaci e di una cooperazione senza precedenti per rimanere rilevante e prosperare in un mondo sempre più incerto. Draghi ci ricorda che il tempo stringe: o l’Europa si trasforma, o rischia di fallire.
Tutte cose giuste, ma c’e sempre la perplessita sulla plutocrazia in senso lato. È mai possibile che la politica debba consegnarsi a dei banchieri per avere idee sul governo?