La recente visita di Sir Keir Starmer a Roma per studiare il “giro di vite” sulla migrazione illegale adottato dall’Italia solleva interrogativi complessi e profondamente radicati nel dilemma europeo sull’immigrazione. La tragedia che ha visto la morte di otto migranti nella Manica, portando il bilancio delle vittime del 2024 a 45, spinge ulteriormente il dibattito sull’inefficacia delle attuali strategie di gestione della migrazione.
Starmer, in cerca di soluzioni, guarda all’Italia di Giorgia Meloni come modello. Il calo degli attraversamenti migratori nel Mediterraneo, in particolare dalla Tunisia e dalla Libia, sembra testimoniare il successo delle politiche italiane di contenimento, favorite da accordi bilaterali con paesi di origine e transito. Tuttavia, mentre l’Italia sembra raccogliere risultati, la realtà è che queste soluzioni “muscolari” non risolvono il problema alla radice. La migrazione è un fenomeno complesso, alimentato da guerre, disuguaglianze e crisi climatiche. Le politiche basate su accordi di elaborazione offshore, come quello tra Italia e Albania, trattano i sintomi, non le cause.
Il dilemma morale: Migrazione e responsabilità globale
Starmer si trova a dover bilanciare tra l’apparente necessità di controllare i confini e il dovere morale di proteggere le vite umane. Ogni nuova morte nel Canale della Manica – una delle rotte più pericolose per i migranti – solleva la questione se sia giusto o etico investire risorse solo nel bloccare i flussi migratori senza affrontare il motivo per cui queste persone rischiano la vita per arrivare in Europa.
Il caso italiano, lodato per il calo degli arrivi di migranti, deve essere osservato con attenzione. Gli accordi con paesi come la Tunisia si fondano su trasferimenti di denaro e promesse di pattugliamenti più serrati, ma sono accompagnati da segnalazioni di violazioni dei diritti umani e condizioni disumane nei centri di detenzione. Starmer sembra prendere in considerazione simili approcci, ma è questo il tipo di politica che il Regno Unito vuole perseguire?
La lotta alle bande o alle cause?
La strategia di Starmer di “distruggere le bande” che trafficano esseri umani è senza dubbio importante. I trafficanti sono criminali che sfruttano la disperazione di persone vulnerabili. Tuttavia, un approccio esclusivamente repressivo rischia di mancare il bersaglio se non si considera la domanda. Come ha osservato un ministro britannico, fintanto che esisterà una richiesta di asilo o di migliori opportunità economiche nel Regno Unito, ci saranno sempre trafficanti pronti a rispondere.
Affrontare questa “domanda” richiede molto più di un’azione di polizia alle frontiere. Implica una politica estera più proattiva, che investa nelle nazioni di provenienza dei migranti, lavorando per stabilizzare economie in crisi e affrontare le cause profonde dell’emigrazione forzata. Purtroppo, questo tipo di approccio richiede tempo, denaro e una visione a lungo termine, tutti elementi che spesso scarseggiano nel contesto politico attuale.
Le politiche di Meloni e il prezzo della sicurezza
Le politiche migratorie di Giorgia Meloni avranno pure portato a una diminuzione degli arrivi illegali, ma il prezzo pagato dall’Italia, e potenzialmente da altri paesi che desiderano emulare questo approccio, è elevato. Si tratta di politiche che rischiano di ignorare i diritti umani e di esternalizzare le responsabilità verso paesi con sistemi giuridici fragili e limitate capacità di gestione.
Inoltre, l’idea di emulare l’accordo di elaborazione offshore tra Italia e Albania, che consente l’espulsione rapida dei migranti le cui richieste d’asilo sono respinte, potrebbe essere allettante per chi vuole mostrare decisione nel risolvere il problema. Tuttavia, tale approccio solleva domande sulla giustizia e l’equità dei processi, e rischia di delegare la gestione di esseri umani vulnerabili a paesi con scarse garanzie di tutela dei diritti.
Verso una risposta globale e umana
L’Europa si trova ad affrontare una crisi che va oltre i confini nazionali. La soluzione non può essere semplicemente quella di chiudere le frontiere o costruire muri, fisici o legislativi. La storia ha dimostrato che queste strategie, nel lungo termine, falliscono o creano più problemi di quanti ne risolvano. La migrazione è un fenomeno globale che richiede risposte multilaterali, basate sulla cooperazione internazionale e sulla solidarietà.
Keir Starmer, nel suo tentativo di trovare una via percorribile per il Regno Unito, deve stare attento a non cadere nella trappola del populismo securitario. È comprensibile la necessità di rassicurare un elettorato preoccupato, ma la leadership politica consiste nel proporre soluzioni che siano non solo efficaci nel breve termine, ma giuste e sostenibili nel lungo periodo.
In definitiva, la visita di Starmer in Italia dovrebbe essere un’occasione per riflettere non solo su come fermare i flussi migratori illegali, ma su come costruire un sistema che riconosca la dignità e i diritti di chi cerca una vita migliore, evitando che il Mediterraneo o la Manica si trasformino in cimiteri a cielo aperto.
È tutta ideologia xenofoba. Ci si sente assediati, ma in realtà si ha bisogno di migranti, specie per la manodopera e la natalità in Italia come in Inghilterra.