L’assenza dell’esercito libanese nell’attuale crisi tra Israele e Hezbollah non è solo una questione di debolezza militare, ma riflette un dilemma politico e strategico ben più complesso. Mentre i combattimenti tra le forze israeliane e Hezbollah intensificano il rischio di una guerra su vasta scala, le forze armate regolari del Libano restano sullo sfondo, incapaci di intervenire in modo decisivo. Questa situazione pone seri interrogativi sulla capacità delle istituzioni statali di gestire un conflitto che minaccia di travolgere l’intero paese e destabilizzare ulteriormente il Medio Oriente.
Un esercito ostaggio della politica
L’esercito libanese si trova in una posizione scomoda: formalmente subordinato alle istituzioni politiche, è in realtà prigioniero delle divisioni settarie e politiche interne al paese. Come ha osservato Khalil Helou, generale in congedo dell’esercito e attualmente professore di geopolitica, l’esercito “non è un’istituzione classica” come quelle occidentali, ma è soggetto alle decisioni di un governo profondamente diviso e paralizzato dalla necessità di mantenere un fragile equilibrio tra le diverse comunità etniche e religiose.
Questa debolezza strutturale diventa evidente quando si osserva la totale assenza dell’esercito nelle zone di conflitto come la Valle della Bekaa e il Libano meridionale, aree controllate de facto da Hezbollah. Secondo la Risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, che dovrebbe garantire il disarmo dei gruppi armati nel sud del paese, l’esercito regolare libanese dovrebbe essere la principale forza di sicurezza, in collaborazione con l’UNIFIL (la forza di pace delle Nazioni Unite). Tuttavia, nella pratica, Hezbollah mantiene il controllo assoluto della regione, e l’esercito regolare non è mai stato in grado di imporsi. Questo ha reso il Libano una nazione con “due eserciti”, in cui il governo di Beirut è ostaggio delle scelte militari di una milizia armata che risponde a un’agenda regionale dettata da Teheran.
Il dilemma dell’intervento
Se Israele decidesse di passare dai bombardamenti aerei a un’invasione di terra, come accaduto nel 2006, l’esercito libanese sarebbe di fronte a un dilemma impossibile: tentare di difendere il territorio libanese, rischiando un confronto diretto con le truppe israeliane, o disarmare Hezbollah, aprendo così le porte a una guerra civile. In entrambi i casi, il Libano verrebbe travolto da un conflitto che non è in grado di sostenere e che rischierebbe di sfaldare le già deboli istituzioni del paese.
La realtà è che affrontare Hezbollah è politicamente inaccettabile per la leadership militare, poiché significherebbe immediatamente perdere il sostegno di una larga parte della popolazione sciita, compromettendo la stabilità interna del Libano. Questo è il paradosso delle forze armate libanesi: sono l’unico attore legittimo che dovrebbe garantire l’integrità del territorio, ma sono anche l’unico che non può agire, perché ciò comporterebbe il rischio di un conflitto interno che il paese non può permettersi.
Hezbollah: uno stato nello stato
Il ruolo di Hezbollah va ben oltre quello di una semplice milizia. Formalmente è una forza politica legittima nel parlamento libanese, ma agisce con un’autonomia militare e finanziaria che sfida l’autorità statale. Hezbollah ha costruito una rete di infrastrutture militari e sociali che lo rendono un “stato nello stato”, con proprie forze di sicurezza, servizi sociali e un esercito privato. Quando Hezbollah decide di attaccare Israele, né il governo né l’esercito regolare possono fare nulla per fermarlo.
La sua forza militare è tale che anche durante la crisi del 2006, l’esercito libanese evitò qualsiasi scontro diretto con Israele, lasciando Hezbollah combattere da solo. Oggi, la situazione non è cambiata: mentre Hezbollah intensifica i lanci di razzi e droni verso Israele, l’esercito regolare rimane spettatore passivo, senza i mezzi per intervenire né la volontà politica di affrontare una forza che rappresenta una delle colonne portanti del potere sciita nel paese.
L’incapacità dell’esercito libanese e il ruolo dell’Unione Europea
Di fronte a queste difficoltà, l’Unione Europea e altri attori internazionali hanno cercato di potenziare le capacità dell’esercito libanese, soprattutto per monitorare i confini terrestri e marittimi. Ma, come sottolinea l’esperto Claudio Bortolotti, anche con il sostegno esterno, l’esercito libanese rimane “incapace di operare su nuovi fronti”. In altre parole, il problema non è solo la mancanza di risorse, ma la mancanza di una volontà politica chiara.
Nonostante il sostegno finanziario e logistico dell’UE e degli Stati Uniti, ogni decisione sull’impiego delle forze armate è subordinata a un sistema politico che pone la “stabilità interna” sopra ogni altra priorità. E la stabilità interna, in un paese così diviso, si ottiene solo evitando scontri con Hezbollah, anche a costo di lasciare il sud del Libano in balia di una milizia armata che decide in modo autonomo se e quando entrare in guerra con Israele.
Una soluzione irrealizzabile?
Il Libano resta così intrappolato in un vicolo cieco. La risoluzione ONU 1701, che teoricamente impone il disarmo di Hezbollah e l’esclusivo controllo dell’esercito sul sud del paese, è rimasta lettera morta. E nessuno a Beirut è disposto a sfidare Hezbollah, né l’esercito né le forze politiche. La paura di una nuova guerra civile è troppo forte, e la storia recente del paese ha insegnato a evitare scontri interni a ogni costo.
Di conseguenza, finché Hezbollah manterrà il suo status di “stato nello stato”, e finché l’esercito rimarrà paralizzato dalla politica, il Libano non potrà mai risolvere il problema della sua sovranità incompleta. Se Israele decidesse di invadere, l’esercito libanese sarebbe costretto a ritirarsi, lasciando che Hezbollah combatta una guerra che è anche quella di Teheran. E ancora una volta, il Libano pagherebbe il prezzo delle decisioni altrui, con la sua fragilità istituzionale che continua a impedirgli di essere una nazione sovrana e unificata.