Quando la cultura diventa un bersaglio politico
Un raid della polizia israeliana, senza mandato, in una libreria simbolo del dialogo a Gerusalemme Est. Un episodio che scuote le fondamenta della libertà di espressione e della convivenza culturale in una città già lacerata dal conflitto.
Domenica pomeriggio, un folto gruppo di agenti ha fatto irruzione nella Educational Bookshop, la libreria più nota della parte orientale della città, sequestrando decine di volumi, rovesciando scaffali e arrestando i proprietari, Mahmoud e Ahmed Muna, con l’accusa di incitamento alla violenza e sostegno al terrorismo.
Le immagini degli scaffali ribaltati, dei libri sequestrati e del personale sotto shock hanno indignato l’opinione pubblica internazionale, mentre diplomatici e difensori della libertà di espressione denunciano l’accaduto come un’ennesima restrizione delle libertà fondamentali in un momento di forte tensione nella regione.
Libri “pericolosi” e accuse discutibili
Tra i materiali sequestrati spicca un libro da colorare per bambini intitolato From the River to the Sea, espressione spesso associata ai movimenti pro-Palestina e alle posizioni di Hamas. Tuttavia, come sottolineato dai testimoni, gli agenti non conoscevano i contenuti dei libri e hanno dovuto usare Google Translate per decifrarne i titoli prima di portarli via.
Il sospetto di un’azione politica è rafforzato dalla presenza di volumi come Gaza in Crisis di Noam Chomsky e Ilan Pappé, oltre a Wall and Piece di Banksy, autori noti per le loro posizioni critiche nei confronti dell’occupazione israeliana. Persino una copia del quotidiano israeliano Haaretz con la foto degli ostaggi è stata considerata materiale sospetto.
L’arresto dei Muna e il sequestro dei libri sollevano interrogativi inquietanti sulla libertà di pensiero e sull’uso della forza per soffocare il dibattito culturale.
Un’istituzione culturale nel mirino
La Educational Bookshop è più di una semplice libreria: è un punto di riferimento per studiosi, giornalisti, diplomatici e attivisti che cercano un confronto aperto sulla storia e il futuro della regione. Fondata nel 1984, ha sempre rappresentato uno spazio di incontro tra culture e narrazioni diverse, un luogo in cui arabi ed ebrei potevano sfogliare gli stessi libri e scambiare idee.
La reazione internazionale non si è fatta attendere. L’ambasciatore tedesco in Israele, Steffen Seibert, ha espresso pubblicamente la sua preoccupazione:
«So che i proprietari della libreria sono palestinesi orgogliosi, amanti della pace, aperti al confronto e alla discussione. Sono preoccupato per il raid e la loro detenzione».
Anche l’ambasciata francese ha condannato l’operazione, definendola “una flagrante violazione della libertà di espressione”.
Nel frattempo, centinaia di persone si sono recate alla libreria per acquistare libri, nel tentativo di proteggere questo baluardo di cultura e resistenza.
Repressione e censura: un’escalation preoccupante
L’irruzione alla Educational Bookshop non è un caso isolato. Solo una settimana fa, un’altra libreria palestinese nella città vecchia era stata perquisita dalla polizia, segno di un’intensificazione delle restrizioni contro gli spazi culturali palestinesi.
L’episodio riflette una realtà più ampia: a Gerusalemme Est, la repressione della libertà di espressione si sta facendo sempre più evidente, con una stretta sugli spazi di aggregazione intellettuale e una crescente criminalizzazione della narrazione palestinese.
Ma davvero una libreria può rappresentare una minaccia? Se il semplice atto di leggere e discutere un libro diventa un pericolo, cosa resta della democrazia e della libertà di pensiero?
La risposta è nelle reazioni della società civile: difendere spazi come la Educational Bookshop significa difendere il diritto al sapere e alla convivenza pacifica. E questa è una battaglia che nessun raid potrà cancellare.