Il parallelo tra il caso del prete ungherese Péter Gergő Bese, con la sua retorica omofoba e la sua doppia vita rivelata, e alcune vicende politiche italiane recenti, come il caso che coinvolge il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, evidenzia alcune dinamiche comuni riguardo alla strumentalizzazione dei valori della “famiglia tradizionale” nella politica contemporanea.

Caso Bese e il governo Orbán

Secondo le informazioni di Válasz Online, un dossier, che mirava a dimostrare che Gergő Péter Bese, parroco di Dunavecse, ha partecipato a feste gay e ha avuto relazioni intime durature con altri uomini, è arrivato anche ai vertici del governo. La Nunziatura Apostolica ha riconosciuto di essere stata informata delle gravi accuse contro il sacerdote, e queste sono state inoltrate all’arcidiocesi di Kalocsa-Kecskemét, il cui arcivescovo è responsabile dell’indagine. Mons. Balázs Bábel ha poi sospeso Gergő Péter Bese dall’esercizio del ministero  sacerdotale con effetto dal 6 settembre 2024”. Bese non ha ancora risposto in nessuna sede, e i suoi profili Facebook nel frattempo sono diventati inaccessibili.

Bese non era solo un parroco ordinario, ma una figura di spicco nella scena politica ungherese, strettamente connessa al governo di Viktor Orbán. Il prete ha svolto un ruolo importante nel consolidamento del “cristianesimo politico”, un progetto che Orbán ha promosso per rafforzare la sua visione di una nazione ungherese basata su valori tradizionali cristiani, con un’enfasi sulla famiglia, la patria e la lotta contro ciò che viene percepito come “decadenza morale”, rappresentata in particolare dalla comunità LGBTQ+.

Una delle tappe significative della carriera di Bese è stata la consacrazione dell’ex monastero carmelitano, che ora ospita la Presidenza del Consiglio e gli uffici presidenziali di Orbán. Questo atto non è stato un semplice rito religioso, ma una dichiarazione simbolica del legame tra la Chiesa e il governo. Orbán ha utilizzato la religione per legittimare le sue politiche conservatrici, rafforzando l’identità nazionale come un baluardo contro le influenze progressiste provenienti dall’Unione Europea e dal movimento per i diritti LGBTQ+.

Bese è stato un accanito critico della comunità LGBTQ+, accusando i suoi membri di minacciare la struttura della famiglia tradizionale e, più in generale, i valori morali della nazione. Il suo discorso si allineava perfettamente con quello di Orbán, il cui governo ha approvato leggi che limitano la visibilità e i diritti della comunità LGBTQ+. La cosiddetta “legge anti-propaganda LGBTQ+”, entrata in vigore nel 2021, vieta la diffusione di contenuti legati a temi LGBTQ+ nelle scuole e nei media rivolti ai minori, contribuendo alla crescente marginalizzazione della comunità.

Il caso di Jozsef Szájer e la continuità dello scandalo

Nel 2020, l’eurodeputato ungherese Jozsef Szájer, una figura di spicco del partito Fidesz di Orbán, è stato coinvolto in un altro scandalo che ha destato scalpore a livello internazionale. Szájer, noto per essere uno dei principali architetti della Costituzione ungherese che promuoveva il concetto di “famiglia tradizionale” e che includeva forti limitazioni ai diritti LGBTQ+, è stato arrestato dopo essere stato scoperto a partecipare a un’orgia con 25 persone a Bruxelles, in violazione delle normative anti-Covid dell’epoca. Quando la polizia è intervenuta, Szájer ha cercato di fuggire scendendo da una grondaia, ma è stato comunque fermato e trovato in possesso di droga.

Questo episodio ha messo in luce la distanza tra il discorso pubblico di Szájer, che si faceva portavoce di un’ideologia morale conservatrice, e la sua vita privata, caratterizzata da comportamenti che contraddicevano apertamente i valori che pubblicamente difendeva. Le dimissioni forzate di Szájer hanno aperto una breccia nell’immagine di un governo che fa della difesa dei valori cristiani e della moralità tradizionale un pilastro ideologico.

Le analogie tra il caso di Péter Gergő Bese e quello di Jozsef Szájer sono evidenti. Entrambi hanno giocato ruoli chiave nel rafforzamento della narrativa del governo Orbán contro la comunità LGBTQ+, con Bese che benediva le strutture governative e Szájer che legiferava per limitare i diritti delle minoranze sessuali. Tuttavia, entrambi sono stati scoperti a vivere una vita parallela in netto contrasto con i principi che difendevano pubblicamente. La loro doppiezza morale ha portato alla luce una crisi di credibilità per il governo ungherese, che ha fatto dell’omofobia e della difesa della “famiglia tradizionale” uno dei suoi principali cavalli di battaglia.

Caso Sangiuliano e il “conservatorismo all’italiana”

In Italia la politica di difesa della famiglia tradizionale ha trovato eco nel governo attuale di Giorgia Meloni, il cui partito, Fratelli d’Italia, promuove valori simili a quelli del regime ungherese. 

Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura, ha espresso posizioni forti a favore della famiglia tradizionale, opponendosi a un modello di famiglia più inclusivo che includa le coppie omosessuali o altri tipi di unioni. Questo rientra in un più ampio quadro di valori che il governo Meloni vuole sostenere, mettendo al centro dell’attenzione pubblica la difesa delle radici cristiane e della tradizione.

Tuttavia, anche in Italia si è creata una frattura tra il discorso pubblico e le vicende personali di alcune delle figure chiave della politica. La vita privata di Giorgia Meloni è stata messa al centro dell’attenzione mediatica in seguito alle dichiarazioni del suo ex-compagno, Andrea Giambruno, che è stato travolto da accuse di atteggiamenti sessisti e incoerenti con il modello familiare che Meloni ha spesso promosso pubblicamente. Questo ha fatto emergere critiche verso l’ipocrisia percepita di chi difende valori tradizionali ma non riesce a incarnarli nel proprio vissuto personale.

Quando sembrava ormai che la vicenda della “mignottocrazia” berlusconiana avesse fatto scuola per non ripetere gli stessi errori, il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, è caduto nella leggerezza di una storia sentimentale extraconiugale con la giovane imprenditrice Maria Rosaria Boccia, con la promessa di una nomina e di un ingaggio come consigliera per i grandi eventi.

Quando la moglie del Ministro ha intimato l’allontanamento della Boccia dal ministero ha scatenando la ritorsione della rivale che ha messo al pubblico ludibrio il marito costringendolo alle dimissioni preceduto da un inappropriato uso della televisione pubblica per giustificarsi da presunto peculato per viaggi, alberghi e cene di cui avrebbe fruito la Boccia.

Oltre ad entrambi, non ne escono bene anche i media e la nostra civiltà; bando a ostentata emancipazione, raggiungimento di traguardi nel  rispetto delle libertà individuali e di diritto alla privacy, il popolo continua ad amare il gossip e i media continuano a intercettare il bisogno primitivo di mettere l‘occhio nel buco della serratura.

Ipocrisia e doppia morale

Entrambi i casi — quello ungherese e quello italiano — mettono in luce una dinamica che si ripete: la strumentalizzazione politica dei valori morali e tradizionali per conquistare il consenso di una parte dell’elettorato, mentre a livello personale gli stessi politici o figure pubbliche coinvolte dimostrano comportamenti contrari ai principi che difendono. Nel caso di Bese, la sua vita parallela e segreta è un chiaro esempio di come l’omofobia predicata non corrispondesse a una reale adesione ai valori che proclamava, e qualcosa di simile emerge anche nel caso italiano, dove i comportamenti personali in materia di relazioni e famiglia sono in contrasto con il modello difeso pubblicamente dal partito e dal governo.

Queste vicende mettono in crisi la credibilità di chi fa della difesa dei valori tradizionali una bandiera politica. In Ungheria, il caso Bese ha sollevato interrogativi non solo sulla Chiesa e sulla sua collusione con il potere politico, ma anche sulla legittimità del governo Orbán nel continuare a opporsi ai diritti LGBTQ+ in nome di una presunta difesa della moralità pubblica. 

Uno degli aspetti più preoccupanti di questo scandalo è la mancanza di copertura mediatica in Ungheria. Mentre molte testate internazionali, tra cui Il Fatto Quotidiano in Italia, hanno riportato ampiamente la vicenda, i media ungheresi sono rimasti in gran parte silenziosi a causa della stretta censura imposta dal governo Orbán. Questo silenzio mediatico non solo impedisce ai cittadini ungheresi di conoscere la verità sui loro leader, ma riflette anche un problema più ampio di controllo dell’informazione nel Paese.

In Italia, l’incoerenza tra il discorso pubblico e le vicende personali rischia di minare la fiducia degli elettori nella coerenza del progetto politico promosso da Meloni e dai suoi alleati.

Il Valore della Famiglia Tradizionale 

La famiglia tradizionale, in sé, rappresenta un valore positivo e importante per la stabilità sociale e il benessere individuale. È innegabile che l’educazione dei figli, l’unità familiare e il rispetto reciproco all’interno della famiglia siano pilastri fondamentali per la crescita sana della società. Tuttavia, il problema nasce quando la difesa di questo modello viene strumentalizzata per scopi politici, senza che vi sia una reale coerenza tra il messaggio pubblico e il comportamento personale di chi lo promuove.

Nel caso di Bese, il suo attacco frontale contro la comunità LGBTQ+ sembrava un modo per rafforzare il modello di “normalità” difeso dal governo Orbán, ma dietro la facciata di rettitudine si nascondeva una vita privata in netto contrasto con il messaggio che diffondeva. Questo evidenzia una dinamica frequente in cui l’ipercritica verso un certo gruppo diventa una strategia di difesa per nascondere le proprie debolezze o derive personali. Non è raro che chi predica con maggior violenza contro una determinata realtà (in questo caso l’omosessualità), sia in realtà colui che vive in prima persona quella stessa realtà. È una forma di proiezione psicologica che permette a queste persone di mascherare i propri vizi dietro una facciata di moralità.

Il peccato come esperienza umana universale

Questa vicenda ci ricorda che il peccato, in ogni sua forma, appartiene a tutti. Nessuno è immune dal commettere errori o dal cadere nelle proprie debolezze. Nel Vangelo stesso, Gesù ci esorta a non giudicare con troppa severità gli altri, poiché tutti hanno delle colpe di cui devono rispondere. L’ipocrisia morale, però, diventa particolarmente dannosa quando si usano le proprie posizioni di potere per giudicare e condannare gli altri, nascondendo al contempo i propri peccati.

Se si predica la necessità di difendere la famiglia tradizionale, allora bisogna essere pronti a dare l’esempio attraverso il proprio comportamento, anche nelle situazioni più difficili.

Riconoscere le proprie colpe e avere l’umiltà di ammettere i propri errori è una delle più alte forme di forza morale. Invece di nascondere le proprie debolezze dietro una retorica di superiorità morale, i leader dovrebbero essere modelli di umiltà, pronti a riconoscere quando sbagliano e ad affrontare le conseguenze dei propri errori.

L’insegnamento della Chiesa e lo stesso Vangelo ci invitano a farlo. San Paolo ci ricorda che tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio (Romani 3,23). Non si tratta di negare i propri valori o la propria fede, ma di vivere una vita che sia coerente con i principi che si predicano, dando sempre il buon esempio. 

La vera umiltà, tanto invocata dalla dottrina cristiana, si esprime nel riconoscere i propri errori e nell’evitare di ergersi a giudici supremi della morale altrui. Solo così si può garantire una credibilità autentica, sia nella sfera politica che in quella religiosa.

L’umiltà è anche la chiave per rialzarsi quando si sbaglia, per rimediare agli errori e per continuare a lavorare per un mondo migliore.

La politica come strumento per il bene comune

Un altro elemento importante è la necessità che la politica torni a essere uno strumento per il bene comune e non un mezzo per accaparrarsi voti. Quando la difesa dei valori tradizionali diventa uno strumento di propaganda, si perde il contatto con l’autenticità di quei valori. La politica, soprattutto in temi delicati come la famiglia e i diritti, dovrebbe essere orientata alla costruzione di una società più giusta, dove tutti possano trovare il proprio posto e dove ci sia spazio per la dignità e il rispetto reciproco.

Questo contesto solleva un’importante riflessione sulla coerenza di coloro che predicano valori morali, come la famiglia tradizionale, ma che poi non vivono all’altezza di tali principi. Il problema non è la difesa della famiglia in sé, ma la discrepanza tra l’immagine pubblica e le azioni private. Le figure pubbliche, sia religiose che politiche, dovrebbero essere coerenti con i valori che promuovono, dimostrando umiltà e responsabilità nel riconoscere i propri errori, piuttosto che nasconderli dietro una maschera di moralità.

È necessario che chi assume ruoli di potere e responsabilità comprenda che la credibilità passa non solo per l’esempio pubblico, ma anche per la trasparenza e l’autenticità nelle proprie scelte private