Le ragioni di dissenso dell’episcopato africano sulle benedizioni alle coppie omosessuali sembrano non trovare fondamento nella stessa tradizione e pratica sessuale all’interno del Continente.
Fiducia supplicans è il recente documento del Magistero che disciplina pastoralmente la modalità di benedizione agli eterosessuali conviventi fuori dal matrimonio e alle coppie omosessuali.
Il cardinale Ambongo Besungu, si è fatto rispettoso portavoce presso il Pontefice della contrarietà dell’episcopato africano e malgascio verso questa possibilità, salvo la successiva distanza presa nel merito dai vescovi del Nordafrica che hanno dichiarato piena adesione a Fiducia supplicans.
L’interpretazione dei segni del sacro ha naturalmente un valore e un significato che differisce nelle varie culture.
L’autorità del ministro del culto, inoltre, riveste, specie in Africa subsahariana, un carattere sociale che enfatizza anche i gesti paraliturgici.
Tra gli argomenti del cardinale congolese figura “il linguaggio troppo sottile (del documento) per essere compreso dalle persone semplici”.
Una questione quindi più retorica che di contenuto?
Il card. Ambongo, poi, rivolgendosi ai cristiani del suo continente dichiara che “Papa Francesco, fortemente contrario a qualsiasi forma di colonizzazione culturale in Africa, benedice di tutto cuore il popolo africano e lo incoraggia a rimanere fedele, come sempre, alla difesa dei valori cristiani”.
L’impegno effettivo e sincero della maggioranza dei cristiani africani è infatti davvero esemplare nella partecipazione generosa alle attività della vita parrocchiale ed ecclesiale.
L’indifferenza e l’assenza di pratica religiosa che caratterizza altre società, specie in Europa, non è un modello esportabile.
È anche opportuno prendere le distanze dal lobbismo sul gender che preme per dei riconoscimenti giuridici come la genitorialità legale per coppie omoaffettive che ricorrono spesso al cosiddetto “utero in affitto”.
Sottomettere la natura alla cultura stravolge l’ordine creato ma due argomenti del cardinale Ambongo sembrerebbero poco sostenibili.
La famiglia e il rispetto per la vita
Il primo è il riferimento a un contesto “profondamente radicato nei valori del diritto naturale riguardanti il matrimonio e la famiglia”.
Il Congo gode sicuramente di una tradizione cristiana più sviluppata rispetto ad altre regioni del Continente, grazie all’opera dei missionari belgi.
Più a Sud, nella regione dei Grandi Laghi, questa cultura cristiana o quantomeno la regola d’oro naturale, non ha tuttavia impedito il terribile genocidio di metà degli anni Novanta in Ruanda e Burundi.
Furono purtroppo i cristiani, chierici compresi, che si macchiarono di sangue innocente in nome di odi tribali atavici e revanscismi tra Tutsi e Hutu.
Il famigerato dittatore dell’allora Zaire, Mobutu Sese Seko, pur dichiarandosi cristiano, viveva more et uxorio con due donne gemelle, si arricchiva personalmente mentre la popolazione soffriva la penuria e perpetrava numerosi delitti di avversari politici compiendo rituali agghiaccianti come il bere il sangue delle vittime.
In Africa l’omosessualità è assente?
Il secondo argomento del cardinale Ambongo è che “in Africa non c’è l’omosessualità”.
Che il fenomeno non rientri in una dinamica di ostentazioni e rivendicazioni inopportune è vero, che il fenomeno sia penalmente rilevante, anche nei Paesi di cultura islamica è una verità, ma che l’omosessualità non esista in Africa, è una falsità.
Ogni chierico missionario e no, attraverso il ministero della confessione o dell’accompagnamento spirituale, sa bene che esistono sia uomini che donne con orientamento e comportamento sessuale verso persone dello stesso sesso.
Non tutti sanno, inoltre, che i primi martiri cristiani dell’Africa subsahariana, trucidati fra il 1885 e il 1887 in Uganda, erano i paggi del re Mwanga II.
Dopo la loro conversione al cristianesimo si negarono alle pratiche sodomitiche a cui venivano sottomessi dal loro sovrano ed anche per questo furono messi a morte.
La diffusione esponenziale dell’AIDS a partire dall’Africa negli anni Ottanta è inoltre la prova empirica di promiscuità e disordine nella pratica sessuale a detrimento della persona, della famiglia e della società.
Alcuni Paesi, come l’Uganda, dopo aver visto interi villaggi decimati dal virus HIV, sono corsi ai ripari con leggi severe che hanno disciplinato la pratica sessuale.
Lo Stato, con il sussidio di ONG straniere, ha ridotto il tasso di mortalità di quasi il 90% dal 1990 al 2019.
La legge radicale promulgata l’anno scorso, l’Anti-Homosexuality Act, minaccia ora di rinnovare l’epidemia mentre ai cittadini LGBT sieropositivi vengono negate le cure mediche necessarie.
La legge criminalizza il sesso consensuale tra adulti dello stesso sesso. Richiede inoltre a tutti i cittadini di segnalare chiunque sia sospettato di tale attività, un mandato che non fa eccezioni per gli operatori sanitari che si occupano dei pazienti.
Secondo la legge, semplicemente avere relazioni omosessuali mentre si vive con H.I.V. può incorrere in un’accusa di “omosessualità aggravata”, che è punibile con la morte.
Chiunque “promuova consapevolmente l’omosessualità” – assumendo o ospitando una persona L.G.B.T.Q. o non segnalandone una alla polizia – rischia fino a 20 anni di carcere.
In un tale contesto è evidente che la richiesta ipotetica di benedizione di una coppia omosessuale, la esporrebbe non tanto al ludibrio pubblico, ma alla detenzione nelle patrie galere.
I nostri corrispondenti ci hanno segnalato, tuttavia, che la severità delle pene, così come è codificata, in realtà non viene applicata ma ha solo uno scopo dissuasivo.
Il problema è che l’attesa del giudizio alle volte è molto lunga e costringe delle persone a giacere in prigione in modo disumanizzante.
Quanto alla cultura della vita e della famiglia, è nota l’attenzione alla fecondità e l’accoglienza del bambino nella maggioranza delle culture dell’Africa.
Rispetto all’inverno demografico dell’Occidente, specie in Italia e Giappone, è incoraggiante assistere all’apertura alla vita esistente in alcune aree del mondo, dove l’aspetto sociale, economico e educativo, per quanto fondamentale per un bambino, passa in secondo piano rispetto alla sua nascita.
Bisogna tuttavia ammettere con tristezza, che anche nei Paesi dell’Africa dove l’aborto non è regolamentato, tale pratica è diffusa, molto più che in Europa, ad esempio, specie da donne nubili e anche minorenni.
Da segnalare anche l’alta percentuale di abbandono del tetto coniugale in contesti legislativi dove la poligamia non è più permessa, nonché la diffusione dello stupro e delle modestie sessuali a donne socialmente fragili, non consenzienti e non sempre maggiorenni.
Se il filosofo e pastore anglicano keniano John Mbiti, scrive che “la fornicazione, l’incesto, lo stupro, l’adescamento, i rapporti omosessuali, l’incesto, la bestialità e persino la visione degli organi sessuali dei genitori da parte dei figli… costituiscono crimini sessuali all’interno di una comunità da perseguire necessariamente, è evidente che il disordine relazionale esiste.
Accanto alla punizione fisica comminata al reo dal clan familiare, c’è anche un rituale religioso di purificazione per il tabù infranto.
Questo ci aiuta allora a capire meglio la complessità del fenomeno da un punto di vista antropologico e le ragioni del dinamico episcopato africano, condizionate dal contesto ambientale, dalle legislazioni statali e forse da influenze romane che vedono purtroppo anche influenti presuli africani cavalcare ogni onda per alimentare le critiche al profetico magistero di Papa Francesco.
Mi sembra la scoperta dell’acqua calda. Peccato che qualcuno non lo voglia riconoscere. Parlarne con serenità e onesta intellettuale aiuta la decifrazione delle resistenze di alcuni vescovi al documento pontificio.
L’uomo è l’uomo, qualunque sia il colore della sua pelle.
Apprezzo l’onestà intellettuale dell’articolo.