Ci sono immagini che dovrebbero smuovere le coscienze, far tremare i potenti e costringere il mondo a interrogarsi sulla propria complicità. L’abbraccio tra Papa Francesco e il piccolo Roman Oleksiv, un bambino ucraino di nove anni con il corpo devastato dai missili russi, è una di quelle immagini che dovrebbero gridare giustizia, invece di perdersi nel mare dell’indifferenza.
Un bambino martire dell’orrore
Roman non è un soldato. Non è un combattente. Non è un obiettivo strategico. È un bambino. O meglio, era un bambino come tutti, prima che il 14 luglio 2022 la follia umana lo riducesse a un corpo bruciato per quasi la metà della sua superficie. Il missile da crociera russo che ha colpito il centro di Vinnytsia non ha solo portato via la pelle del piccolo Roman, ha distrutto la sua famiglia, strappandogli via la madre e lasciandolo orfano, sopravvissuto per miracolo a un destino che avrebbe dovuto risparmiarlo.
Eppure, il mondo continua a girare, gli affari della guerra non si fermano, e i potenti discutono a tavolino strategie e geopolitica mentre i bambini bruciano vivi.
L’abbraccio del Papa, il fallimento dell’umanità
Roman è tornato a Roma, come un sopravvissuto, come un testimone di un dolore che nessun bambino dovrebbe conoscere. È stato accolto da Papa Francesco, lo ha abbracciato, ha posato il suo volto sfregiato sulla sua spalla. Un gesto di amore, certo. Un segno di vicinanza, di compassione. Ma anche un’immagine che svela il fallimento totale dell’umanità.
Se un bambino di nove anni ha bisogno di trovare conforto nelle braccia del Papa perché il mondo gli ha voltato le spalle, se le sue cicatrici diventano simbolo di resistenza invece che monito per fermare i massacri, significa che qualcosa si è spezzato nella nostra coscienza collettiva. Significa che abbiamo accettato, come ineluttabile, un orrore che mai dovrebbe essere normalizzato.
L’ipocrisia della politica e il silenzio dei colpevoli
Nel Summit sui diritti dei bambini, svoltosi in Vaticano, si sono dette parole importanti, si sono firmati accordi per sostenere i piccoli vittime della guerra. Bene, ma non basta. Dove sono i leader mondiali mentre un bambino di nove anni porta addosso il marchio della barbarie? Dove sono coloro che parlano di “necessità strategiche”, di “equilibri geopolitici”, quando un missile ha ridotto in cenere la sua infanzia?
E soprattutto, dov’è il senso di indignazione globale? Dov’è la rabbia? Perché non c’è un moto di rivolta morale contro un mondo in cui un bambino viene ustionato dal fuoco della guerra e poi celebrato come un simbolo di forza, invece di essere protetto come una vita sacra?
Un simbolo che non dovrebbe esistere
Roman è forte, Roman è un sopravvissuto. Ma Roman non dovrebbe essere un simbolo. Un bambino non dovrebbe essere la testimonianza vivente della crudeltà degli uomini. Dovrebbe essere solo un bambino, con i suoi giochi, i suoi sogni, la sua infanzia intatta. Invece, è costretto a diventare un’icona, un esempio, mentre porta le cicatrici della guerra su di sé.
L’abbraccio con il Papa è commovente, è umano, è sincero. Ma non può e non deve bastare. Finché continueremo a raccontare storie come quella di Roman senza pretendere che la storia smetta di ripetersi, saremo complici. Finché accetteremo che i bambini diventino carne da macello per interessi più grandi di loro, l’umanità sarà solo un concetto vuoto, incapace di guardarsi allo specchio senza vergognarsi.
Non servono lacrime di circostanza. Serve giustizia. Serve pace. Serve la fine di questa mostruosità. Roman, con il suo volto segnato, con la sua innocenza calpestata, ce lo grida senza bisogno di parole. Ma il mondo ascolta? O continuerà a rimanere in silenzio, mentre altri bambini bruciano?