Dal prossimo febbraio, l’Unione Europea riprenderà il monitoraggio del valico di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, attraverso la missione EUBAM Rafah. L’annuncio è arrivato dall’Alta rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, al termine del Consiglio Affari Esteri del 27 gennaio a Bruxelles. L’obiettivo principale della missione sarà facilitare il trasferimento dei feriti e dei malati fuori da Gaza per ricevere cure mediche, oltre a garantire un clima di fiducia tra le parti coinvolte.

Un ritorno atteso da tempo

La missione EUBAM Rafah era stata inizialmente avviata nel novembre 2005, in seguito al disimpegno israeliano da Gaza, per monitorare il passaggio al confine tra la Striscia e l’Egitto. Tra il 2005 e il 2007, i dati ufficiali riportano che 443.975 persone hanno attraversato il valico sotto la supervisione europea. Tuttavia, con la presa di controllo di Rafah da parte di Hamas nel giugno 2007, la missione fu sospesa, lasciando un vuoto nella gestione di un punto cruciale per il transito delle persone e delle merci.

Dopo anni di inattività, l’Ue ha continuato a mantenere una presenza simbolica e a sostenere il rafforzamento delle capacità delle autorità palestinesi in previsione di una possibile ripresa. Ora, grazie al cessate il fuoco – seppur fragile – raggiunto di recente, Bruxelles ha ricevuto l’invito formale da Israele, dall’Autorità palestinese e con il beneplacito dell’Egitto, per rimettere in campo questa operazione di monitoraggio.

L’impegno italiano e internazionale

La missione vedrà la partecipazione di militari provenienti da Italia, Francia e Spagna, con un contingente di carabinieri italiani che si sta già addestrando presso la base militare di Vicenza. Secondo quanto riportato dall’Agenzia AGI, circa venti operatori saranno impiegati al valico, garantendo il passaggio giornaliero di fino a 300 feriti e malati, operando dalle 9 alle 17.

Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha sottolineato l’importanza simbolica e pratica di questa missione, definendola “un contributo europeo significativo per l’implementazione del cessate il fuoco” e un passo avanti verso una possibile stabilità nella regione. Tajani ha anche evidenziato che la missione rappresenta un esempio del ruolo costruttivo che l’Europa può avere nei processi di pace in Palestina.

Il contesto geopolitico

La riattivazione della missione EUBAM Rafah arriva in un momento cruciale. Il confine tra Gaza ed Egitto rappresenta un punto nevralgico non solo per i palestinesi, ma anche per la sicurezza regionale. Il valico di Rafah è l’unica porta di accesso a Gaza non direttamente controllata da Israele, ed è essenziale per il movimento di persone, aiuti umanitari e beni di prima necessità.

L’intervento europeo è stato possibile grazie alla cooperazione tra Stati Uniti, Israele e l’Ue, ma si inserisce in un quadro politico complesso, caratterizzato da tensioni persistenti tra Israele e Hamas. Nonostante il cessate il fuoco, la situazione a Gaza rimane fragile, con la popolazione che continua a vivere in condizioni di emergenza umanitaria.

Un budget e un mandato limitati

Il Consiglio dell’Ue ha approvato nel 2023 un budget di 2,36 milioni di euro per prolungare la missione fino al 30 giugno 2024, con possibilità di ulteriore proroga. Il mandato attuale si concentra sul rafforzamento delle capacità delle autorità palestinesi e sul monitoraggio del valico, evitando però un coinvolgimento diretto nelle dinamiche di sicurezza più ampie nella Striscia di Gaza.

Un simbolo di speranza per il futuro

Il dispiegamento di EUBAM Rafah rappresenta non solo un passo avanti nel miglioramento delle condizioni umanitarie a Gaza, ma anche un segnale importante del ruolo che l’Europa può svolgere nei processi di pace in Medio Oriente. Come sottolineato da Tajani, l’Europa ha la possibilità di dimostrare che può essere un attore credibile nella costruzione di un dialogo tra le parti.

Tuttavia, il successo della missione dipenderà dalla stabilità del cessate il fuoco e dalla capacità delle autorità internazionali di collaborare con le parti locali per garantire un clima di fiducia. La missione non è solo un’operazione di monitoraggio, ma un simbolo di un impegno più ampio verso la pace e la ricostruzione in una regione martoriata da anni di conflitto.