La crisi ecologica e sociale che l’umanità sta attraversando richiede un profondo ripensamento dei modelli di sviluppo, dei sistemi giuridici e delle pratiche politiche. Il costituzionalismo della Cura offre una visione innovativa e promettente per affrontare queste sfide, integrando la protezione dei beni comuni globali nel cuore delle costituzioni e delle governance nazionali e internazionali.
Solo riconoscendo la natura come soggetto di diritti e adottando un approccio basato sulla Cura integrale sarà possibile garantire un futuro sostenibile e giusto per tutti. La transizione verso questo nuovo paradigma non sarà semplice, ma rappresenta una necessità ineludibile per preservare la vivibilità del pianeta e promuovere una società più equa e solidale.
Negli ultimi decenni, l’impatto dell’umanità sul pianeta ha raggiunto livelli senza precedenti, configurandosi come un fenomeno capace di modificare radicalmente la fisionomia terrestre. Questa trasformazione è stata descritta da Jeremy Rifkin come una forma di ecocidio, in cui il dominio distruttivo dell’essere umano sulla natura assume connotazioni quasi patologiche, paragonabili a quelle di un cancro che avvolge il pianeta. L’ecocidio, infatti, non si limita a devastare ecosistemi e biodiversità, ma innesca una cascata di conseguenze sociali, economiche e sanitarie che minano profondamente la vivibilità globale e la giustizia intergenerazionale.
In tale contesto, appare urgente un ripensamento radicale dei fondamenti del diritto e della governance globale. In particolare, si avverte la necessità di superare il paradigma individualista che caratterizza i diritti fondamentali tradizionali per adottare un approccio orientato alla cura integrale. Sembra importante avviare un’osservazione interdisciplinare sul “costituzionalismo della Cura”, che miri a garantire la protezione di beni fondamentali extra commercium, sottraendoli alle logiche di mercato e riconoscendoli come fonti di garanzia oggettiva per il benessere collettivo.
L’antropocene e l’emergere dell’ecocidio
L’epoca geologica in cui viviamo è stata definita “Antropocene” per sottolineare il ruolo dominante dell’essere umano nel modellare i processi terrestri. Questo dominio si è manifestato attraverso fenomeni come il cambiamento climatico, la deforestazione massiva, l’acidificazione degli oceani e l’estinzione di specie a ritmi centinaia di volte superiori a quelli naturali. Tali dinamiche, che avrebbero potuto sembrare inconcepibili fino a pochi decenni fa, oggi rappresentano una delle più gravi minacce alla sopravvivenza della civiltà umana. Jeremy Rifkin utilizza il termine “ecocidio” per descrivere questa distruzione sistematica degli ecosistemi. Egli evidenzia come l’ecocidio non sia solo un problema ambientale, ma anche un fenomeno con profonde implicazioni economiche, politiche e sociali. I costi degli squilibri ecologici includono l’aumento delle malattie legate all’inquinamento, la crescita delle disuguaglianze economiche e sociali, e il deterioramento delle condizioni di vita, soprattutto per le comunità più vulnerabili.
La crisi del paradigma individualista dei diritti fondamentali
Il paradigma tradizionale dei diritti fondamentali, sviluppato a partire dall’Illuminismo, si fonda sull’idea che la protezione dell’autonomia e della libertà individuale costituisca il fulcro del progresso umano e sociale. Tale impostazione ha indubbiamente prodotto conquiste storiche fondamentali, garantendo diritti inalienabili come la libertà personale, la proprietà privata e l’uguaglianza di fronte alla legge. Tuttavia, l’accento posto sull’individuo come unità principale del diritto ha portato a trascurare le dimensioni collettive e interdipendenti dell’esistenza umana.
Questa lacuna diventa particolarmente evidente di fronte a sfide globali come il cambiamento climatico e l’ecocidio, che richiedono una protezione integrata di beni comuni e interessi collettivi. I diritti fondamentali tradizionali non sono stati progettati per affrontare problemi sistemici che coinvolgono intere comunità e generazioni future. Ad esempio, la salvaguardia di risorse vitali come l’aria pulita, l’acqua potabile e il clima stabile richiede una visione che superi l’ottica individualista, introducendo nuovi strumenti giuridici capaci di proteggere beni collettivi e condivisi.
Un caso emblematico è rappresentato dal diritto alla proprietà privata, che nelle costituzioni moderne è spesso considerato inviolabile. Sebbene questo diritto sia cruciale per garantire la libertà economica e l’autonomia personale, il suo esercizio indiscriminato può entrare in conflitto con la necessità di tutelare risorse naturali essenziali. Ad esempio, lo sfruttamento intensivo di terreni agricoli o di foreste da parte di proprietari privati, senza considerare gli impatti ambientali, può compromettere l’equilibrio ecologico e privare le comunità locali di risorse fondamentali.
Un ulteriore esempio riguarda il diritto alla libertà economica, che, se interpretato in modo assoluto, favorisce lo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali. Le dinamiche di mercato, guidate dalla ricerca del profitto, tendono infatti a ignorare i costi ecologici e sociali a lungo termine, alimentando processi di degrado ambientale e disuguaglianza. Questa tensione tra diritti individuali e interessi collettivi solleva interrogativi cruciali sulla necessità di ridefinire i confini e le finalità dei diritti fondamentali per renderli compatibili con le sfide del XXI secolo.
Verso un costituzionalismo della Cura
Di fronte a queste sfide, emerge la necessità di un nuovo modello giuridico che metta al centro la cura della vita in tutte le sue forme. Il costituzionalismo della Cura si propone di integrare nei sistemi giuridici principi e norme che garantiscano la protezione dei beni comuni globali, riconoscendoli come beni fondamentali extra commercium. Questi beni, definiti come “res omnium” (cose di tutti), devono essere sottratti alle logiche di mercato e tutelati come patrimonio condiviso dell’umanità.
Un esempio paradigmatico di questa prospettiva è rappresentato dal concetto di diritti della natura, già incorporato nelle costituzioni di alcuni Paesi come l’Ecuador e la Bolivia. Queste costituzioni riconoscono alla natura uno status giuridico autonomo, attribuendole diritti propri che devono essere rispettati e protetti. Tale approccio rappresenta un passo importante verso il superamento dell’antropocentrismo e l’adozione di una visione biocentrica, in cui la vita è considerata un valore intrinseco e non subordinato agli interessi economici.
Il ruolo dei beni fondamentali extra commercium
I beni fondamentali extra commercium sono risorse che, per la loro importanza cruciale per la sopravvivenza e il benessere collettivo, devono essere sottratte alle dinamiche di mercato e protette come patrimonio comune. Tra questi beni rientrano, ad esempio, l’acqua potabile, le foreste, i semi agricoli e le conoscenze tradizionali. La loro tutela richiede l’istituzione di regimi giuridici speciali che ne garantiscano la gestione sostenibile e l’accesso equo per le generazioni presenti e future.
L’acqua potabile, ad esempio, è un bene essenziale per la sopravvivenza umana e per gli ecosistemi. Tuttavia, la crescente privatizzazione delle risorse idriche ha sollevato gravi preoccupazioni in termini di accessibilità e giustizia sociale. In molte regioni del mondo, l’acqua è stata trasformata in una merce, rendendo difficile per le comunità più povere accedervi. Questo fenomeno evidenzia l’urgenza di riconoscere l’acqua come un diritto fondamentale e di garantire la sua gestione pubblica e sostenibile.
Le foreste, d’altro canto, rappresentano non solo un serbatoio cruciale di biodiversità, ma anche un elemento fondamentale per il sequestro del carbonio e la regolazione climatica. La deforestazione, spesso guidata dall’espansione agricola o dall’industria del legname, mette a rischio questi servizi ecosistemici vitali. La tutela delle foreste richiede l’istituzione di politiche internazionali che ne impediscano lo sfruttamento indiscriminato e promuovano pratiche di riforestazione e conservazione.
Anche i semi agricoli rientrano tra i beni fondamentali extra commercium, poiché sono essenziali per la sicurezza alimentare globale. La concentrazione del controllo dei semi nelle mani di poche multinazionali ha sollevato interrogativi sul diritto degli agricoltori di accedere a semi liberi da brevetti e adattati ai contesti locali. La protezione dei semi tradizionali e delle conoscenze agricole indigene è fondamentale per garantire la sovranità alimentare e preservare la diversità genetica.
Un aspetto fondamentale di questa prospettiva è il concetto di garanzia oggettiva. A differenza delle garanzie soggettive, che si basano sui diritti individuali, le garanzie oggettive mirano a proteggere i beni comuni in quanto tali, indipendentemente dalle rivendicazioni dei singoli. Questo approccio implica l’adozione di strumenti giuridici e istituzionali innovativi, come tribunali ecologici, autorità di vigilanza ambientale indipendenti e meccanismi di partecipazione comunitaria nella gestione delle risorse. Tali strumenti devono essere progettati per promuovere la cooperazione internazionale e garantire che la protezione di questi beni sia prioritaria rispetto agli interessi economici privati.
La Cura integrale come principio guida
Il costituzionalismo della Cura si fonda sul principio della Cura integrale, che abbraccia non solo la protezione dell’ambiente, ma anche la promozione della giustizia sociale, economica e intergenerazionale. La Cura integrale richiede un approccio interdisciplinare, che integri conoscenze provenienti da campi diversi come il diritto, l’economia, la sociologia, l’ecologia e la filosofia. Solo attraverso una visione olistica è possibile affrontare le complesse interazioni tra i sistemi naturali e sociali e promuovere un modello di sviluppo sostenibile.
In questa prospettiva, la Cura non è solo un valore etico, ma anche un principio giuridico e politico che deve orientare le decisioni a tutti i livelli, dalle politiche locali alle strategie globali. Ad esempio, il principio di precauzione, già riconosciuto in molti trattati internazionali, rappresenta una manifestazione concreta della Cura, in quanto impone di adottare misure preventive anche in assenza di certezza scientifica per evitare danni irreversibili agli ecosistemi.