L’iniziativa del governo di Giorgia Meloni di deportare migranti salvati in mare in Albania rappresenta un passo controverso e al tempo stesso costoso, sollevando una serie di domande fondamentali sulla gestione delle politiche migratorie in Italia e in Europa. Il primo viaggio della nave militare italiana Libra, partito da Lampedusa con soli 16 migranti a bordo e un equipaggio di 70 persone, ha messo in evidenza il peso economico di questo esperimento, calcolato in circa 18.000 euro a persona. Questo approccio, che ha comportato un esborso complessivo stimato tra i 250.000 e i 290.000 euro, ha spinto l’opposizione a definire l’operazione come “la propaganda più costosa della storia d’Italia”.
Ma cosa c’è dietro questo piano ambizioso? Il governo italiano ha stretto un accordo con l’Albania per aprire un centro di internamento e rimpatrio nella città di Gjadër, con l’obiettivo di esternalizzare parte della gestione dei migranti. Questo progetto, che ha ricevuto il sostegno della Commissione Europea, mira a rappresentare un nuovo modello per altri Stati membri dell’UE, ma i suoi costi e la sua efficacia restano altamente discutibili.
Una strategia costosa e inefficace?
Uno dei punti critici di questa operazione è proprio il costo. La cifra di 18.000 euro per ogni migrante deportato è esorbitante, soprattutto se si considera che i migranti trasportati rappresentano solo una frazione minima rispetto al numero complessivo di arrivi. Infatti, nello stesso giorno in cui la Libra ha trasportato 16 migranti verso l’Albania, quasi 1.000 persone sono arrivate sull’isola di Lampedusa. Questo evidenzia una chiara sproporzione tra gli sforzi messi in campo e i risultati ottenuti. Il governo sta affrontando una crisi migratoria di enormi proporzioni con soluzioni che appaiono temporanee e non risolutive.
Inoltre, il sistema di trasferimento si dimostra estremamente limitato. La nave Libra può trasportare solo uomini adulti provenienti da paesi considerati sicuri, escludendo automaticamente una gran parte dei migranti, tra cui donne, bambini e individui vulnerabili. E qui emerge un altro problema: la recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha ridotto notevolmente l’elenco dei paesi considerati sicuri, tra cui Bangladesh, Egitto, Tunisia e Libia, le nazioni da cui proviene la maggior parte dei migranti che arrivano in Italia. Ciò significa che i criteri di selezione sono diventati ancora più stringenti e molti dei migranti trasportati in Albania potrebbero dover essere rimandati in Italia, rendendo l’intera operazione inutile e dispendiosa.
Il rischio di un boomerang politico
Nonostante Meloni abbia descritto il suo piano come un “percorso nuovo e coraggioso”, la realtà potrebbe dimostrare il contrario. Il rischio che questo progetto si trasformi in un boomerang politico è alto. Se la maggior parte dei migranti inviati in Albania dovesse tornare in Italia per problemi legali o per l’incapacità di gestire i rimpatri nei loro paesi d’origine, il governo si troverebbe a dover giustificare un dispendio di risorse pubbliche senza ottenere risultati tangibili.
L’Albania, dal canto suo, ha accettato questo accordo con la promessa di fondi e supporto dall’Italia e dall’Unione Europea, ma non è chiaro fino a che punto sarà in grado di gestire un afflusso costante di migranti. Inoltre, il centro di Gjadër, che attualmente può ospitare solo 440 persone, è ancora in costruzione e potrebbe non essere sufficiente per sostenere i numeri previsti.
Esternalizzazione della migrazione: una soluzione sostenibile?
L’idea di esternalizzare la gestione della migrazione non è nuova. La Turchia e la Libia sono state già coinvolte in accordi simili, ma con risultati controversi. L’accordo con l’Albania, un paese che non fa parte dell’UE, solleva questioni di legittimità e diritti umani. La deportazione di migranti in un paese terzo è vista da molti come un modo per l’Europa di “scaricare” il problema, evitando di affrontare le vere cause della migrazione e lasciando paesi esterni a gestire le conseguenze.
Inoltre, il modello proposto dall’Italia potrebbe creare un precedente pericoloso. Se altri Stati membri dell’UE seguiranno questa strada, si rischia di frammentare ulteriormente la già complessa politica migratoria europea, con paesi che cercano soluzioni individuali piuttosto che una strategia comune e solidale. La migrazione è un fenomeno globale che richiede una risposta coordinata a livello europeo e internazionale, non soluzioni ad hoc che potrebbero esacerbare le tensioni tra Stati membri e tra l’Europa e i paesi terzi.
Il piano di deportazione dei migranti in Albania appare come una soluzione temporanea e costosa a un problema strutturale. Le difficoltà legali, i costi spropositati e la limitata capacità di gestire l’afflusso migratorio sollevano seri dubbi sulla sua efficacia a lungo termine. In un momento storico in cui l’Italia e l’Europa devono affrontare sfide migratorie senza precedenti, è fondamentale trovare soluzioni sostenibili e solidali, basate sulla cooperazione e sul rispetto dei diritti umani.
La decisione del governo Meloni potrebbe rivelarsi più una mossa propagandistica che una vera soluzione, lasciando l’Italia e l’Europa ancora alla ricerca di risposte adeguate a una crisi che richiede azioni condivise e concrete.