La Russia ha recentemente emesso mandati di arresto contro due giornalisti italiani, Stefania Battistini e Simone Traini, per essere entrati illegalmente nella regione di Kursk utilizzando un veicolo delle forze armate ucraine durante un’incursione militare. I due reporter della RAI sono accusati di aver attraversato illegalmente il confine russo ad agosto 2024, un crimine che, secondo le leggi russe, potrebbe comportare fino a cinque anni di carcere. Entrambi i giornalisti, che attualmente non si trovano in Russia, sono stati inseriti nella lista dei ricercati e rischiano l’estradizione in caso di detenzione fuori dall’Italia.

L’Unione dei giornalisti della RAI (Usigrai) ha definito questa azione una “provocazione inaccettabile” e ha chiesto al governo italiano di adottare una posizione unanime contro questa intimidazione, rinnovando la propria solidarietà ai colleghi e chiedendo che l’ambasciatore russo in Italia venga convocato per chiarimenti. Anche il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha condannato la mossa di Mosca, dichiarando che il governo italiano difenderà sempre il diritto a un’informazione indipendente  .

Centinaia di giornalisti sono imprigionati
in tutto il mondo per aver semplicemente svolto il loro lavoro

Questo episodio si inserisce in un contesto di crescente repressione della libertà di stampa da parte dei regimi autocratici. In Russia, la persecuzione dei giornalisti è in aumento, con numerosi reporter detenuti per presunti legami con oppositori del governo. La situazione è grave anche in altri paesi: secondo i dati di organizzazioni per la libertà di stampa, centinaia di giornalisti sono imprigionati in tutto il mondo per aver semplicemente svolto il loro lavoro. Tra gli esempi recenti ci sono i giornalisti arrestati in Iran, i reporter uccisi in Messico e i giornalisti detenuti in Cina e Turchia per accuse di “terrorismo” o “propaganda contro lo Stato” .

La vicenda dei giornalisti italiani sottolinea ancora una volta il delicato equilibrio tra il dovere di informare e le minacce sempre più evidenti a chi cerca di raccontare la verità da contesti di guerra o di crisi.