Il nuovo film di Daniel John Caruso, Mary, disponibile su Netflix dal 6 dicembre 2024, tenta di raccontare la vita della Vergine Maria in un registro epico che si discosta notevolmente dai tradizionali canoni biblici. Pur offrendo spunti visivamente affascinanti e interpretazioni degne di nota, l’opera solleva interrogativi sulla fedeltà al messaggio cristiano e sull’efficacia di questa rappresentazione come narrazione spirituale.
Un’epopea più che una narrazione biblica
Mary inizia con la nascita di Maria, basandosi sul testo apocrifo del Protoevangelo di Giacomo, che fornisce dettagli sulla sua infanzia e sulla consacrazione al Tempio, elementi non presenti nei Vangeli canonici. Tuttavia, il film si allontana dal senso mistico e spirituale del racconto biblico per abbracciare un’estetica e una narrazione più vicine al genere epico, paragonabile a Il Signore degli Anelli. La figura della giovane Maria, interpretata dall’attrice israeliana Noa Cohen, viene presentata come spirituale ma anche combattiva, una reinterpretazione che può risultare romanzata e lontana dal messaggio originario.
La mancanza del messaggio cristiano
Uno degli aspetti più criticati del film è la sua scarsa aderenza al messaggio evangelico. Le citazioni bibliche sono ridotte al minimo, e il mistero della rivelazione divina viene trasformato in un fenomeno soprannaturale privo di profondità teologica. La dimensione trascendente della fede lascia il posto a una drammaticità amplificata, che rischia di appiattire la complessità spirituale della Natività.
Un cast convincente in un contesto discutibile
Nonostante i limiti della sceneggiatura, le interpretazioni degli attori meritano un plauso. Noa Cohen offre una Maria umana e accessibile, mentre Ido Tako, nei panni di Giuseppe, porta una freschezza e un dinamismo che potrebbero catturare il pubblico più giovane. Anthony Hopkins, nel ruolo di Erode, dà vita a un personaggio brutale e paranoico, dimostrando ancora una volta il suo talento. Tuttavia, queste performance non riescono a colmare le lacune narrative e la distanza dal messaggio di speranza che dovrebbe caratterizzare una storia così profondamente cristiana.
Un’operazione rischiosa tra innovazione e tradizione
Il tentativo di Netflix di offrire un ritratto “moderno” della Vergine Maria si inserisce in una tendenza del cinema contemporaneo a reinterpretare le figure bibliche per renderle più accessibili a un pubblico ampio. Tuttavia, questa operazione, pur interessante sotto il profilo cinematografico, sacrifica elementi fondamentali della fede cristiana in favore di un’estetica spettacolare. In questo senso, Mary segue le orme di altri progetti controversi, come Messiah, anch’esso prodotto da Netflix.
Mary è un film che, nonostante alcune qualità artistiche e interpretative, lascia il pubblico cristiano con sentimenti contrastanti. È un’opera che può affascinare per la sua narrazione epica e la ricostruzione storica, ma che rischia di perdere il cuore del messaggio evangelico. Se l’intento era quello di raccontare una Maria più vicina al pubblico contemporaneo, il risultato appare più un’occasione mancata che un successo. Rimane un esempio di come il cinema, nel tentativo di innovare, debba maneggiare con cautela i temi religiosi, per non tradirne l’essenza.