Oggi, 27 maggio 2023, Sergio Mattarella si è recato a Barbiana per ricordare don Lorenzo Milani a cento anni dalla nascita.
Il gesto del Presidente della Repubblica, che segue la visita di Papa Francesco del 2017, è la seconda riparazione istituzionale.
Dopo la Chiesa, è lo Stato che chiede perdono e riabilita questo “prete scomodo”.
LA VITA
Nato a Firenze il 27 maggio 1923 da una famiglia agiata inserita nei circuiti culturali cittadini, nel 1930 si trasferì a Milano, dove conseguì la maturità classica.
Appassionato di arte e dalla vena artistica, frequentò per breve tempo i corsi dell’Accademia di Brera per fare poi ritorno a Firenze nel 1943.
Benché battezzato a causa della discriminazione contro gli ebrei, in gioventù abbracciò attivamente la fede cattolica e scoprì la vocazione ricevendo l’Ordinazione nel 1947.
Assegnato quello stesso anno a San Donato di Calenzano, vi iniziò la sua attività di educatore, aprendo una scuola serale rivolta a tutti i giovani di estrazione popolare.
Insieme ai contenuti del libro Esperienze pastorali, si inimicò gli ambienti clericali in quegli anni di dura contrapposizione fra cattolici e comunisti.
Nel 1954 don Milani venne quindi destinato alla minuscola parrocchia di Barbiana del Mugello, all’estrema periferia di montagna dell’arcidiocesi di Firenze.
Lì continuò con grande determinazione l’attività pastorale e educativa fra i ragazzi, giovandosi dell’appoggio di amici e sostenitori.
Nel 1965 fu coinvolto in un clamoroso processo per aver difeso la causa degli obiettori di coscienza contro i gratuiti insulti di alcuni ex cappellani militari.
L’esperienza da lui avviata e le sue idee ebbero una grande risonanza, soprattutto in seguito alla pubblicazione del libro Lettera a una professoressa (1967), che metteva in luce le ingiustizie del sistema scolastico italiano.
Oggi è entrato a far parte del patrimonio condiviso del cattolicesimo ed è autore citato e ammirato da tanti uomini e donne d’impegno politico e sociale, sia di sinistra sia di centro sia di destra.
Colpito da un linfogranuloma degenerato in leucemia, Don Milani morì a Firenze il 26 giugno 1967 e fu sepolto nel cimitero di Barbiana.
LE TEORIE SULLA SCUOLA
Don Milani, al contrario di Rousseau sosteneva che l’ottimo sarebbe stato una scuola privata e il bene quella pubblica integrata da un doposcuola per i meno uguali.
Criticava della scuola pubblica italiana: gli orari, le materie, il modo in cui era strutturato il rapporto tra insegnamento e interrogazioni, la didattica, i sindacati, gli ordinamenti, il curricolo implicito ecc…
Il Risorgimento ancora riecheggiante al tempo di don Milani, collocò la scuola nel cuore stesso dell’unità d’Italia.
Non a caso il tema della scuola torna in questione ogni volta nel nostro Paese i rapporti politici generali conoscono una drastica ridefinizione.
È successo con il Fascismo, con la Repubblica, con Tangentopoli, con la nuova Sinistra e ora con la Destra.
Ognuno si muove ancora tra mille contraddizioni alla ricerca di una ricetta per la scuola.
Non è difficile, perciò, comprendere la forza con la quale la voce di don Milani ritorna nel nostro discorso pubblico.
Con il governo Meloni, alla denominazione istituzionale di “Ministero dell’istruzione” si è aggiunto “… e del merito” (MIUR).
Da più parti si ripete: senza uguaglianza non c’è merito. La frase fa effetto. Ma è vero anche il contrario.
È chiaro, infatti, che senza merito non c’è uguaglianza, ci sono solo diritti ascritti.
Funzionava così l’Antico regime. Nelle nostre società, invece, una scuola senza merito restituisce la regolazione delle differenze sociali al più potente e imponderabile dei fattori umani, la fortuna.
Sei nato dalla parte sbagliata? Ti arrangi, oppure resti lì.
“I Care” è il messaggio che campeggia su una parete della povera scuola di Barbiana.
Come dice lo stesso Don Milani, è il motto della migliore gioventù americana, significa “Mi sta a cuore” ed è l’esatto contrario del motto fascista, “Me ne frego” benché legato più a un lessico dannunziano di impresa fiumana.
Ecco, è forse questo il bisogno più grande. Il bisogno di costruire una scuola in grado di “avere a cuore” tutti gli alunni, a prescindere dalle loro capacità, e di portarli tutti, nessuno escluso, verso il successo formativo. I Care.
Un tema ancor più drammatico e urgente nell’Italia dei nostri giorni è che il nostro mercato del lavoro è il più diseguale d’Europa: la più alta disoccupazione giovanile, l’occupazione femminile tra le più basse, il più basso numero di laureati, il terzultimo posto per le competenze digitali e circa tre milioni di NEET. Il tutto concomitante con un enorme skill mismatch (disallineamento) tra percorsi di istruzione e formazione e offerta di lavoro.
È la famosa immagine contenuta in “Lettera a una professoressa” dell’ospedale che cura i sani e respinge i malati.
Così funziona la scuola dei “Pierini”.
La scuola pretende dai suoi studenti la condivisione di un terreno comune con ciò che insegna.
Fosse anche soltanto la lingua e la capacità di stare seduti nei banchi.
Una sorta di base minima, dei prerequisiti, senza i quali l’apprendimento non funziona. Chi non possiede questa base è destinato a fallire.
Per don Milani contava l’amore.
Questione molto delicata e complicata, non immune dai rischi della sopraffazione e della manipolazione. Su questa strada si erano messi già Pestalozzi e Fröbel.
A parte l’intuizione, peraltro, fondamentale della libertà dello sviluppo soggettivo del bambino, non ha prodotto risultati che siano degni di rilievo, anzi.
La ricetta di queste pedagogie è di solito il rifiuto della cultura libresca e l’esaltazione della libera esperienza dell’individuo.
IL PASTORE – EDUCATORE
Agli occhi dell’establishment ecclesiastico dell’epoca, che mirava a riaffermare con forza la presenza cristiana in Italia, Esperienze pastorali di Lorenzo Milani era un libro pericoloso in quanto sosteneva che la scristianizzazione del nostro Paese poteva già considerarsi cosa fatta.
Era una tesi esposta al termine della prima parte del volume, dove don Milani scriveva testualmente che “il popolo, su cui il comunismo ha lavorato e fatto presa, non solo non era già più cattolico, ma neanche cristiano e neanche religioso”.
L’acuta disamina della vita sacramentale, delle devozioni, dei riti (o, per meglio dire, dei ritualismi) in cui si manifestava l’esperienza ecclesiale della sua gente, portava il sacerdote fiorentino a constatare che spesso il rapporto con la Chiesa era ridotto a pura e semplice superstizione.
Il fatto che la quasi totalità dei parrocchiani fosse stata battezzata, avesse ricevuto un’istruzione religiosa, partecipasse alle ricorrenze del culto e richiedesse la presenza del sacerdote all’atto delle nozze o al momento della morte, secondo don Milani poteva tranquillamente coniugarsi con una vita lontana dalla fede.
In effetti, simili considerazioni erano dirompenti e provocatorie, soprattutto perché non venivano formulate da un sacerdote operante in quelle periferie urbane a prevalenza operaia in cui si realizzava il “divorzio” fra Chiesa e lavoratori o nella pianura rurale scossa dai roventi scontri fra braccianti e agrari, ma piuttosto da un pastore che viveva fra gente di montagna: proprio quella che si riteneva la frontiera di un’appartenenza ecclesiale ancora indenne dai mali del tempo.
Se dovessimo individuare le linee di fondo del pensiero di don Milani, potremmo dire che alla base di tutto vi stava una preoccupazione profondamente religiosa: ottenere la salvezza eterna della sua gente tramite la piena adesione alla verità di Cristo.
La sua tensione religiosa, tuttavia, non cedeva all’insidia dello spiritualismo, per cui si guarda alla fede come «cosa dell’anima» che si dissolve nella pura interiorità senza riferimento ai modi ordinari di vita (famiglia, lavoro, rapporti sociali, politica).
Se la salvezza riguarda tutto l’uomo e tutti i suoi mali, la missione della Chiesa non può ignorare le concrete condizioni storiche in cui la sua esistenza si svolge e non può non schierarsi dalla parte dei poveri, cioè di coloro che maggiormente subiscono le conseguenze del peccato. Il più grande limite a una piena umanità è l’ignoranza, nel senso letterale di non conoscenza di cose e di fatti, che si traduce in limitazione della libertà di pensiero e di azione.
È il superamento di questo limite che mette le persone in condizione di accogliere consapevolmente la verità cristiana.
L’annuncio del Vangelo, pertanto, rendeva necessaria una trasformazione del contesto economico-sociale in cui si trovavano tanti suoi parrocchiani.
Don Milani condannava la figura del prete troppo “disinvolto” nel possesso di quei beni materiali, come l’automobile, che al tempo in cui scriveva apparivano insieme un privilegio e uno schiaffo alla condizione dei poveri e facevano rientrare i preti nella classe di coloro che hanno anche il superfluo, togliendogli così in radice la possibilità di parlare di cose sociali e politiche, per non dire poi della povertà evangelica.
Prima di mettersi in casa degli oggetti, diceva Milani, bisognava “contare accuratamente quante famiglie del nostro popolo hanno o potrebbero avere in casa oggetti di quel valore. E se ci risultasse che c’è anche una sola famiglia che vive senza, non basterebbe questo fatto per rinunciare al ‘maggior bene’ […] vero: quello di poter parlare sempre dalla cattedra ineccepibile della povertà”.
UN’OPPORTUNITÀ PER LA SCUOLA
Dal 9 maggio 2023, l’Anno europeo delle competenze mira a colmare le lacune in materia di competenze nell’Unione europea e a rafforzare la strategia dell’UE in materia di competenze, che contribuirà a riqualificare le persone con particolare attenzione alle competenze in materia di tecnologia digitale e verde.
Nella prospettiva di don Milani, la scuola è una risposta organizzativa, opposta in questo senso alla mobilitazione di massa dell’Azione cattolica, alla crisi religiosa della società cristiana sotto i colpi della secolarizzazione. Di qui anche il significato della profonda avversione che don Milani nutre per ogni distrazione che allontani i ragazzi dalle aule scolastiche.
A differenza di Pasolini, don Milani come si è accennato detesta la partitella di pallone, con tutto ciò che comporta sul fronte della demistificazione di una intera sezione dell’immaginario nazionale democratico, inclusi i preti impegnati nel «sociale» che don Milani fermamente detestava.
Don Lorenzo Milani, che si congedò dai suoi ragazzi con “Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che Lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia ascritto tutto al suo conto”.
È a partire da queste premesse che bisogna ricostruire la scuola.