Da oltre quattro giorni, 32 migranti, tra cui donne e bambini, sono bloccati sulla piattaforma petrolifera Miskar, di proprietà della British Gas, al largo delle coste della Tunisia. Senza cibo né acqua, esposti alle intemperie e senza assistenza, questi naufraghi si trovano in una zona di limbo dove le responsabilità si rimbalzano tra Stati e compagnie private. L’Europa, finora, resta a guardare.
Un soccorso che non arriva
La piattaforma Miskar, situata a poche miglia dalle acque Sar (Search and Rescue) di Malta e Lampedusa, si trova in una posizione strategica, ma al tempo stesso problematica. L’Ong Mediterranea Saving Humans, che segue la vicenda, ha denunciato come i militari tunisini non abbiano finora fornito aiuto e ha lanciato un appello urgente all’Unione Europea e all’Italia affinché intervengano per salvare queste persone.
Un primo tentativo di aiuto è partito con la nave Aurora di Sea-Watch, partita martedì mattina da Lampedusa per raggiungere la piattaforma, ma il problema rimane: perché in quattro giorni nessuno è intervenuto?
L’immobilismo delle autorità e la paura della legge
Le domande si moltiplicano. Possibile che il personale della piattaforma non abbia fornito assistenza immediata?
Secondo Laura Mormorale, presidente di Mediterranea, le ragioni possono essere diverse:
• Mancanza di personale formato: la piattaforma potrebbe essere automatizzata o non attrezzata per ospitare persone.
• Ordini aziendali: la compagnia potrebbe aver vietato al personale di intervenire, temendo accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
• Precedenti pericolosi: molte navi mercantili, negli ultimi anni, hanno evitato di soccorrere migranti per paura di implicazioni legali.
Questo comportamento appare in aperta contraddizione con il diritto internazionale, in particolare con la Convenzione di Amburgo del 1979, che obbliga le imbarcazioni a prestare soccorso a chiunque si trovi in pericolo in mare. Tuttavia, nella pratica, gli interessi politici ed economici sembrano prevalere sul rispetto della legge del mare.
La Tunisia non è un “porto sicuro”
Uno degli aspetti più critici della vicenda riguarda il destino dei 32 migranti. Se venissero presi in custodia dalla Tunisia, rischierebbero il respingimento e condizioni disumane. La Tunisia non è riconosciuta come un porto sicuro per i migranti, a causa delle ripetute violazioni dei diritti umani documentate da Ong internazionali.
La mancata accoglienza da parte dell’Italia e di Malta aggrava la situazione, lasciando queste persone in una pericolosa incertezza.
La politica europea e la crisi umanitaria
L’eurodeputato Sandro Ruotolo (PD) ha presentato un’interrogazione alla Commissione Europea, chiedendo quali misure verranno adottate per garantire il salvataggio e scongiurare un respingimento illegale.
Ma questa vicenda mette in luce un problema più ampio: l’Europa sta progressivamente abdicando ai suoi doveri di protezione umanitaria, delegando alla Tunisia e alla Libia il ruolo di guardiani delle proprie frontiere. Una scelta che scarica il peso della crisi sui Paesi nordafricani, spesso privi di tutele per i migranti.
Una questione di umanità
I 32 migranti sulla piattaforma Miskar sono l’ennesimo simbolo di un’Europa immobile, più preoccupata di sigillare le proprie frontiere che di salvare vite umane. La legge del mare non è un’opzione, ma un dovere: ritardare i soccorsi, o peggio ancora ignorarli, equivale a condannare queste persone a una morte annunciata.
Quanti giorni ancora dovranno passare prima che qualcuno intervenga?
Una vergogna internazionale e soprattutto europea. Aumentano le spese militari e vengono meno i progetti di accoglienza e integrazione dei disperati del pianeta.