Il primo febbraio 2021, un colpo di stato militare ha travolto il Myanmar, spazzando via il governo eletto di Aung San Suu Kyi e riportando il paese sotto il controllo della giunta militare guidata dal generale Min Aung Hlaing. Quattro anni dopo, la situazione è ben lontana dall’essere risolta: la resistenza civile si è trasformata in una vera e propria guerra su più fronti, mentre il regime continua a esercitare il suo dominio con il pugno di ferro, prolungando lo stato di emergenza e promettendo elezioni che nessuno crede possibili.

Yangon e il quartiere della rivolta dimenticata

Nel cuore di Yangon, l’ex capitale del Myanmar, il quartiere di Sanchaung era stato il simbolo della resistenza pacifica al golpe. Nel 2021, dalle finestre dei palazzi, i residenti filmavano le retate dei militari mentre nelle strade si svolgevano le proteste. Il cacerolazo birmano – il battere di pentole e padelle – era il suono della rivolta contro il nuovo regime.

Ma oggi Sanchaung è silenziosaNiente più cortei, niente più scioperi. Il timore ha sostituito la rabbia. La resistenza urbana è stata soffocata e sostituita dalla guerriglia armata nelle regioni più remote. Le strade della capitale sembrano lontane dal conflitto, ma dietro l’illusione di normalità si nasconde la crisi.

Uno Stato fantasma: crisi economica e inflazione fuori controllo

Yangon sembra ancora funzionare, ma sotto la superficie il Myanmar è un paese al collasso. L’inflazione ha trasformato la moneta locale, il kyatt, in carta straccia. Il cambio ufficiale è fissato a 2.200 kyatt per un euro, ma il valore reale è ben diverso: all’aeroporto si cambia a 3.600, in città a 4.500.

La crisi è ovunque:

• Il prezzo della benzina è alle stelle, a 3.300 kyatt al litro.

• Gli stipendi medi sono tra i 200.000 e i 250.000 kyatt al mese, un valore che rende impossibile sostenere il costo della vita.

• L’energia è razionata, con blackout che durano tutto il giorno in molte aree.

• I trasporti sono in calo, segno che sempre meno persone possono permettersi di spostarsi.

Yangon, rispetto al resto del paese, sembra ancora funzionare. I negozi sono aperti, la benzina si trova, i supermercati sono pieni. Ma è solo una bolla che può scoppiare da un momento all’altro.

La guerra civile che il regime non vuole ammettere

Mentre Yangon vive la sua fragile illusione di normalità, nel resto del Myanmar la guerra infuria. Le forze armate della giunta combattono contro una resistenza sempre più organizzata, guidata dalle Forze di Difesa Popolare (PDF) e dalle milizie delle minoranze etniche.

Intere regioni del paese sono ormai fuori dal controllo del governo centrale, in particolare lungo i confini con Thailandia, Cina e IndiaGli attacchi dei gruppi ribelli si sono intensificati, colpendo basi militari e convogli dell’esercito.

Per la giunta, parlare di guerra civile è tabù. Min Aung Hlaing continua a promettere soluzioni politiche e libere elezioni, ma nessuno crede più alle parole del regime. I negoziati sono inesistenti, perché nessuna delle parti in lotta è disposta a sedersi al tavolo con chi ha usurpato il potere.

La repressione digitale: controllo totale e sorveglianza cinese

La giunta ha affinato le sue tecniche di controllo. L’intelligence birmana è diventata più efficace nel sorvegliare la popolazione e le intercettazioni telefoniche sono all’ordine del giorno.

Gli stranieri sono sempre meno, anche a causa delle sanzioni internazionali, e i pochi rimasti devono navigare in rete con VPN, che in Myanmar sono illegaliLa sorveglianza digitale è stata potenziata con il supporto tecnologico della Cina, che ha fornito strumenti di monitoraggio avanzati per identificare dissidenti e oppositori politici.

Curiosamente, nonostante il controllo serrato, il Myanmar è uno dei pochi paesi al mondo dove si può ancora acquistare una SIM telefonica senza presentare un documento. Un’anomalia che dimostra come, nonostante la repressione, il sistema abbia ancora falle e contraddizioni.

Verso un punto di rottura?

Quattro anni dopo il colpo di stato, il Myanmar è un paese spaccato tra guerra e repressione, crisi economica e illusione di stabilità.

Min Aung Hlaing controlla ancora le città, ma non governa più il paese. La giunta militare è più debole di quanto voglia far credere: nelle zone di guerra sta perdendo terreno, e la resistenza non ha mai smesso di combattere.

Nel frattempo, il popolo birmano continua a sopravvivere tra paura e frustrazione. Yangon sembra andare avanti, ma per quanto ancora? Se la giunta perderà ulteriore controllo, il Myanmar potrebbe entrare in una nuova fase di conflitto aperto, con conseguenze imprevedibili per il futuro del paese e dell’intera regione.