Se il conflitto russo-ucraino aveva spostato l’asse strategico della difesa verso l’Europa Orientale, l’instabilità nel Mediterraneo riscrive la mappa progettuale della politica estera dell’Italia, a condizione che il governo sappia coglierla ed accoglierla in scelte pratiche nella logica del win-win.
Il sito dell’Institute for Study of War è espressione degli studi strategici degli USA.
In un recente articolo, i suoi esperti ritengono che la fine del sostegno occidentale all’Ucraina farebbe cessare l’attuale “guerra di trincea” aprendo ai russi la possibilità di sfondare il fronte con la fanteria meccanizzata.
Sembra un linguaggio di altri tempi, eppure sono proprio le nuove tecnologie a creare questo stallo.
Il comandante delle forze di terra ucraine, il colonnello generale Oleksandr Syrskyi, ha sottolineato che le forze russe stanno perseguendo azioni offensive simultanee in diverse direzioni e stanno cercando in particolare di riconquistare l’iniziativa a nord e a sud di Bakhmut.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, invece, ha dichiarato che le forze ucraine stanno segnalando un aumento degli assalti russi nelle direzioni di Kupyansk, Avdiivka e Donetsk.
Kiev è tremendamente dipendente dalle forniture militari del blocco Nato.
Se la Germania ha appena stanziato per il prossimo anno altri otto miliardi di euro in aiuto militare, i Paesi come la Slovacchia, l’Ungheria e la stessa Polonia, iniziano a raffreddarsi.
In geopolitica, infatti, la solidarietà e le alleanze sono solo funzionali agli interessi particolari degli Stati. L’emotività conta poco e ha vita breve.
Con l’apertura del fronte israelo-palestinese, gli USA non possono più permettersi lo stesso dispendo di energie belliche che fino a poco tempo fa concentravano soprattutto in Ucraina.
Kiev diventa una vittima sacrificale che anche dopo il cessate il fuoco dovrà metabolizzare insieme ai lutti e all’odio, la ricostruzione di un Donbass devastato, minato e contaminato.
La vittoria strategica degli USA è soprattutto il divorzio tra Europa e Russia e l’allargamento dei Paesi baltici e scandinavi all’Alleanza Atlantica.
Qualunque sia la sorta finale dell’Ucraina, essa rimarrà un comodo Paese cuscinetto tra l’Europa e l’eterno rivale russo.
Quanto all’Europa, si può considerare ormai finita l’epoca dell’approvvigionamento degli idrocarburi da Mosca.
Questo aveva creato anche una certa paggeria diplomatica del Vecchio Continente, dimostrata dalla relativa indifferenza durante l’invasione della Crimea del 2014 da parte di Putin.
Il metano russo aveva permesso alle economie europee di assicurarsi energia a basso costo per il loro sistema produttivo.
Saltata la transizione energetica, che veniva assicurata dall’idrocarburo gassoso, si corre adesso direttamente verso le energie rinnovabili con tecnologie che forse avrebbero atteso più anni prima di venire impiegate su scala industriale in modo conveniente.
Se con il fronte ucraino la Polonia stava diventando il nuovo hub strategico della NATO in funzione anti-russa, con un Mediterraneo agitato si apre per l’Italia una grande responsabilità e opportunità.
Oltre a due basi navali in Siria, i russi hanno già annunciato un accordo con Haftar per una nuova base navale sulle coste libiche.
Nel Mediterraneo transitano tutte le navi che attraversano il canale di Suez, ci sono importanti oleodotti e cavi di fibra ottica sottomarini.
Il ministro Crosetto vuole riorganizzare le Forze Armate italiane per una efficace e pronta operatività che – in caso di bisogno – affianchi ai militari in servizio permanente effettivo, anche i riservisti.
Naturalmente ci auguriamo che tale impiego non abbia mai luogo, benché l’assicurarsi la pace preparandosi alla guerra sia un principio mutuato dai greci a noi tanto familiari.
Quanto alle energie rinnovabili, le condizioni climatiche e geografiche dell’Italia rappresentano un potenziale privilegiato rispetto ai Paesi dell’Europa del Nord.
La posizione nel cuore del Mediterraneo, il sole, il vento e le maree sono una favorevole congiuntura naturale da tradurre in scelte progettuali e cantieristiche da parte del Governo.
Quando si fa riferimento al cosiddetto “piano Mattei” significa rivalutare la vocazione mediterranea dell’Italia e creare una rete di alleanze strategiche che vanno dall’energia al commercio, cogliendo anche nei flussi migratori una risorsa per il Paese e non un semplice contenimento palliativo dell’immigrazione.