L’omelia del Santo Padre pronunciata nello stadio di Port Moresby è un invito potente alla riflessione sull’isolamento spirituale e sull’apertura all’altro, attraverso l’episodio evangelico della guarigione del sordomuto. Il testo, a partire dall’esortazione biblica «Coraggio, non temete!» (Is 35,4), ci spinge a riflettere su come le nostre chiusure interiori – egoismo, paura, risentimento – possano paralizzarci, rendendoci sordi e muti nei confronti di Dio e dei nostri fratelli.

Il sordomuto descritto nell’omelia non è semplicemente un individuo affetto da una malattia fisica, ma diventa simbolo di una condizione esistenziale: l’essere tagliati fuori dalla comunicazione con gli altri e da un rapporto autentico con Dio. Il Papa sottolinea che la lontananza, sia fisica che spirituale, è un male che attanaglia non solo quell’uomo, ma ciascuno di noi quando ci chiudiamo in noi stessi. Viviamo tempi in cui l’individualismo e la paura di aprirci all’altro sembrano essere delle risposte comuni a un mondo sempre più complesso. Eppure, è proprio attraverso l’apertura e la comunione che possiamo trovare una via d’uscita da questo isolamento.

In un contesto come quello della Papua Nuova Guinea, con la sua storia di marginalizzazione geografica e culturale, le parole del Santo Padre assumono un significato ancora più profondo. Il Papa parla direttamente a una comunità che potrebbe sentirsi ai margini, lontana dal centro del mondo e delle decisioni globali. Ma in questa omelia, la “periferia” diventa il luogo privilegiato dove Gesù si reca per guarire e portare salvezza. Il messaggio è chiaro: non esistono periferie agli occhi di Dio. Anzi, Egli si avvicina proprio a chi è più lontano, a chi si sente dimenticato o isolato, per offrire speranza e guarigione.

L’azione di Gesù nel Vangelo non si limita a una guarigione fisica. Egli “tocca” l’umanità del sordomuto, si avvicina a lui con compassione e lo libera non solo dalla sua condizione fisica, ma anche dalla sua emarginazione sociale e spirituale. Questa vicinanza è una lezione per ciascuno di noi: Dio non ci abbandona mai, nemmeno nelle nostre periferie interiori, ma si avvicina per restituirci la capacità di ascoltare e parlare, cioè di entrare in relazione autentica con Lui e con gli altri.

Il Santo Padre esorta il popolo papuano ad “aprirsi”, ad accogliere il Vangelo e a non temere di uscire dalle proprie barriere. L’apertura diventa il filo conduttore dell’intera omelia: aprirsi alla speranza, aprirsi all’altro, aprirsi a Dio. È un invito che non riguarda solo i cristiani di Papua Nuova Guinea, ma tutti noi, ovunque ci troviamo. In un mondo che spesso erige muri di indifferenza, paura o incomprensione, l’apertura diventa la chiave per vivere una vita piena, in cui la comunicazione e la comunione con Dio e con il prossimo sono centrali.

In questo messaggio, Papa Francesco ribadisce il cuore del cristianesimo: Dio non è lontano, è vicino. E se ci apriamo a questa vicinanza, anche noi potremo superare le nostre sordità e mutismi interiori, per diventare portatori di amore e speranza in un mondo che ne ha disperatamente bisogno.