La sentenza di assoluzione di Matteo Salvini nel caso Open Arms spunta l’arma retorica delle “toghe rosse” e cancella il martirio politico del leader leghista. Ma cosa rimane, oggi, dell’idea di un’Italia accogliente, resiliente della sua storia di emigrazione e delle sue radici cristiane?
La decisione del tribunale di Palermo di assolvere Matteo Salvini con la formula “il fatto non sussiste” non solo chiude un capitolo giudiziario, ma infligge un duro colpo alla retorica che il leader leghista e il centrodestra hanno cavalcato per anni: quella delle “toghe rosse”. Salvini, che aveva costruito un’immagine di martire politico perseguitato da una magistratura “politicizzata” e al servizio del centrosinistra, vede ora svanire questa narrazione, messa a tacere proprio da un tribunale che lo ha scagionato dalle accuse.
La retorica delle “toghe rosse” in frantumi
Sin dai tempi di Berlusconi, la destra italiana ha dipinto la magistratura come un organo influenzato ideologicamente, pronto a colpire chiunque rappresentasse una minaccia al sistema progressista. L’assoluzione di Salvini, però, ribalta questa narrazione. Non solo dimostra che la giustizia opera su un piano tecnico e non politico, ma evidenzia che il cosiddetto “martirio” del leader leghista era poco più che uno strumento propagandistico.
Il verdetto smonta il mito di una magistratura ostile e schierata, lasciando il centrodestra senza la sua arma retorica più efficace contro l’indipendenza dei giudici. Questa sentenza dovrebbe anche mettere in discussione la narrativa di chi continua a vedere nel sistema giudiziario una minaccia alla libertà politica, ribadendo invece la separazione dei poteri come pilastro della democrazia.
Fine del martirio politico
La vicenda Open Arms è stata per Salvini una piattaforma per rivendicare il ruolo di protettore dei confini, dipingendo la sua decisione di bloccare i 147 migranti come una scelta necessaria per salvaguardare l’Italia. Tuttavia, la realtà racconta una storia diversa. I migranti a bordo erano persone vulnerabili, già provate da sofferenze nei loro paesi di origine e nel viaggio verso l’Europa, dove speravano di trovare accoglienza.
La retorica del “martire” che difende la patria da invasioni inesistenti crolla di fronte a questa assoluzione. Non c’è più il tribunale da incolpare, né il rischio di condanna a rafforzare l’immagine di un politico perseguitato. Salvini dovrà ora confrontarsi con un dato di fatto: la sua narrativa perde forza proprio perché il sistema giudiziario non lo ha condannato.
Il fu governo gialloverde unito nella durezza
La vicenda Open Arms non è soltanto la storia di una scelta solitaria di Salvini, ma il frutto di una linea politica condivisa dal governo gialloverde, in cui il Movimento 5 Stelle, allora principale forza di maggioranza, non si tirò indietro nel sostenere politiche migratorie dure.
I 5 Stelle, spesso dipinti come alleati riluttanti, rivendicarono con forza la chiusura dei porti e la difesa dei confini. La retorica di Luigi Di Maio e altri esponenti del Movimento si allineava a quella della Lega, con toni che oscillavano tra il pragmatismo e una vera e propria ostilità verso chi cercava rifugio in Italia. La corresponsabilità di quelle scelte non può essere ignorata, anche se oggi il Movimento cerca di prendere le distanze da quell’alleanza e da quella stagione politica.
Un’Europa che tradisce le sue radici
L’assoluzione di Salvini solleva interrogativi più ampi sulla direzione che l’Europa – e l’Italia in particolare – sta prendendo. Come possiamo giustificare il rifiuto di accogliere chi fugge da guerre, fame e persecuzioni, quando il nostro stesso continente si è a lungo vantato delle sue radici cristiane, fondate sull’amore per il prossimo?
L’Italia, in particolare, con la sua storia di emigrazione, dovrebbe essere il primo paese a comprendere il dramma di chi cerca una vita migliore. Milioni di italiani hanno lasciato la propria terra per costruire un futuro altrove, spesso affrontando discriminazioni e difficoltà. Eppure, quella memoria sembra oggi sbiadita, sostituita dalla retorica della difesa dei confini e dalla paura dell’altro.
Un’occasione mancata per la politica
Se la giustizia ha fatto il suo corso, la politica ha dimostrato ancora una volta la sua incapacità di affrontare con serietà e umanità il tema dell’immigrazione. L’assoluzione di Salvini non dovrebbe essere una vittoria di parte, ma un punto di partenza per riconsiderare le politiche migratorie del nostro paese.
Il vero dibattito dovrebbe spostarsi su come coniugare sicurezza e accoglienza, su come rispettare i principi di solidarietà e umanità che sono alla base della Costituzione italiana e delle convenzioni internazionali. Questo richiede un coraggio politico che finora è mancato, sia a destra che a sinistra.
Un futuro ancora da scrivere
L’assoluzione di Salvini chiude un capitolo giudiziario, ma non risolve i dilemmi politici e morali che l’Italia deve affrontare. La domanda rimane aperta: vogliamo essere un paese che respinge i vulnerabili, o un paese che si ricorda delle sue radici e delle sue responsabilità? È una scelta che definisce non solo il presente, ma il futuro della nostra identità come nazione.