C’è una tragedia nella storia d’Italia di cui si parla troppo poco. Il 12 febbraio 1944, il piroscafo Oria affondava al largo della Grecia con oltre 4.200 soldati italiani a bordo, prigionieri dei nazisti dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Solo 37 di loro si salvarono.
Fu un disastro colossale, il peggior naufragio della Seconda Guerra Mondiale nel Mediterraneo, eppure è rimasto nell’ombra per decenni. I soldati italiani, catturati dai tedeschi dopo aver rifiutato di continuare a combattere al fianco dell’Asse, erano stipati nella stiva come bestie, diretti ai campi di prigionia in Germania. Una tempesta, il mare in tempesta e un comandante che non rallentò portarono la nave contro gli scogli dell’isola di Patroklou. Il piroscafo affondò in poche ore, e con esso migliaia di giovani vite.
L’Italia, prostrata dalla guerra e concentrata sulla ricostruzione, se ne dimenticò in fretta. Per anni le famiglie di quei soldati non ebbero nemmeno un luogo dove piangerli, se non il mare. Solo negli ultimi decenni, grazie a ricerche di volontari e subacquei, il relitto è stato riscoperto e con esso la memoria di chi morì in quel drammatico naufragio.
Oggi, a ottantuno anni di distanza, il piroscafo Oria resta il simbolo di un’Italia che ha pagato il prezzo della guerra anche quando la guerra, per quei soldati, era già finita. Un ricordo che merita di essere raccontato, per non lasciare che il tempo inghiotta anche la loro memoria.