Il campo di sterminio di Teuchitlán non è un’eccezione, ma la conferma di un orrore sistemico che il Messico vive da decenni. A rivelarne l’esistenza non sono state le forze dell’ordine, né l’intelligence governativa, né una brillante operazione di polizia. No. A fermare la macchina della morte sono state le madri, i fratelli, i figli dei desaparecidos, quelle donne e quegli uomini che, armati solo della disperazione e di un desiderio inestinguibile di verità, continuano a cercare i loro cari, scomparsi nel buio di una guerra senza fine.
Il rancho Izaguirre di Teuchitlán, scoperto dal collettivo Guerreros Buscadores, non era un semplice nascondiglio del cartello Jalisco Nueva Generación (CJNG), ma un vero e proprio impianto di sterminio, un mattatoio dove le vittime venivano fatte sparire per sempre. Non servono molte parole per descrivere l’orrore: forni crematori, fossati pieni di resti umani, vestiti ammassati, scarpe senza più un proprietario, elenchi di nomi di persone inghiottite dal nulla.
Ma la verità più spaventosa è un’altra: tutti sapevano.
Un crimine sotto gli occhi di tutti
Il ranch era ben visibile, il traffico di camion e uomini armati costante, le segnalazioni c’erano state. Eppure, nulla è stato fatto. Perché?
Perché il Messico è ormai un paese dove lo Stato e il crimine organizzato si sovrappongono, dove i cartelli non sono più “nemici” ma attori paralleli del potere, capaci di infiltrarsi nelle istituzioni, di corrompere, di dettare le regole del gioco. La Procura di Jalisco aveva ispezionato il ranch a settembre 2024, aveva trovato due prigionieri, aveva visto i resti umani e le fosse, aveva persino segnalato il tutto in un rapporto. Eppure, nulla era stato fatto fino a quando non sono arrivate le madri cercatrici, fino a quando non è stato impossibile insabbiare la verità.
Ora il governo promette giustizia. La presidente Claudia Sheinbaum ha parlato del caso, ha garantito indagini. Ma come credere a queste parole, quando il 98% degli omicidi in Messico resta impunito?
Le vittime: tra reclutamento forzato e sparizione
Le storie che emergono da Teuchitlán fanno venire i brividi. Il ranch non era solo un luogo di esecuzioni, ma anche un centro di reclutamento forzato. Adolescenti e giovani venivano adescati con false offerte di lavoro, rapiti e costretti a unirsi al cartello. Chi era considerato troppo debole veniva ucciso subito, chi resisteva era torturato.
Le testimonianze sui 494 oggetti ritrovati nel campo parlano da sole: “Quella felpa è di mio figlio”, “Quella borsa è di mia sorella”, “Le scarpe ortopediche… mia moglie ne aveva un paio identico”.
Teuchitlán non è solo un nome su una mappa. È un cimitero invisibile, un buco nero dove sono finiti migliaia di giovani, padri, madri, fratelli, amici. Ma ciò che più spezza il cuore è leggere il commento di una madre:
“Ojalá y mi hijo estuviera ahí” – “Magari mio figlio fosse lì”.
Un pensiero che sarebbe impensabile in un Paese normale. E invece in Messico, dopo anni di ricerche disperate, anche trovare le ossa di un figlio in una fossa comune diventa una speranza. Perché significa porre fine all’attesa, al limbo insopportabile del non sapere.
Il fallimento della guerra al narcotraffico
Il Messico conta oltre 124.000 desaparecidos in meno di vent’anni. Intere generazioni di giovani sono state inghiottite dalla violenza dei cartelli e dall’indifferenza dello Stato. Ogni settimana si scoprono nuove fosse comuni, nuovi ranch della morte, nuovi orrori.
Eppure, le strategie per combattere il narcotraffico restano sempre le stesse: retate spettacolari, arresti mediatici, operazioni militari che colpiscono alcuni gruppi criminali lasciandone crescere altri. Intanto, il vero motore di questa macchina infernale continua a girare:
• Il traffico di droga verso gli Stati Uniti prosegue indisturbato.
• Le armi arrivano per il 74% proprio dal Nord America, rifornendo i cartelli di fucili d’assalto e munizioni.
• Il sistema di riciclaggio del denaro resta intoccabile, permettendo ai narcotrafficanti di investire miliardi in affari legali.
Washington ha appena classificato il CJNG e la mafia di Sinaloa come gruppi terroristici, aprendo la porta a possibili interventi oltreconfine. Ma chi crede davvero che un’operazione militare possa risolvere il problema? Se non si tagliano i flussi di denaro e di armi, i cartelli continueranno a dominare.
Le madri cercatrici: l’unica speranza di giustizia
Se oggi sappiamo dell’orrore di Teuchitlán, lo dobbiamo alle madri e ai familiari delle vittime. Sono loro, con il loro coraggio e la loro disperazione, ad aver scoperchiato la realtà. Senza armi, senza protezione, senza aiuti.
In tutto il Messico, gruppi di donne si organizzano per cercare i loro figli. Scandagliano il terreno, parlano con informatori, si muovono nelle zone più pericolose, spesso rischiando la vita. E quando trovano una fossa comune, spesso devono affrontare l’ostilità delle autorità, che fanno di tutto per rallentare le indagini.
Il vero problema è che lo Stato messicano ha abdicato al suo ruolo. O meglio, in molte zone è diventato complice attivo dei cartelli. E in un Paese dove giustizia significa sopravvivere, le famiglie dei desaparecidos sono le uniche a mantenere accesa una fiammella di speranza.
La domanda è: quanto tempo ancora il mondo potrà voltarsi dall’altra parte?
Un Paese sepolto sotto il silenzio
Teuchitlán oggi è un simbolo. Ma ce ne sono stati altri, e ce ne saranno altri ancora. Il Messico è una nazione che vive con un cimitero sotto i piedi, dove la memoria delle vittime viene sistematicamente cancellata, e dove la giustizia è un lusso per pochi.
Ogni scarpa trovata nel ranch Izaguirre è una storia spezzata, ogni nome su quei quaderni è un grido che nessuno ha voluto ascoltare.
Le madri continueranno a cercare. Ma chi cercherà la verità per loro?