La guerra totale dichiarata dal regime di Daniel Ortega e Rosario Murillo contro la Chiesa cattolica in Nicaragua non è solo un attacco alla libertà religiosa, ma una sfida diretta all’ordine internazionale. Il recente rifiuto di riconoscere al Papa l’autorità di nominare vescovi, accompagnato da insulti volgari e diffamatori rivolti al Vaticano, segna un punto di non ritorno nella repressione del cattolicesimo nel paese centroamericano.

Ma cosa c’è dietro questa feroce ostilità? Il Nicaragua sta forse imboccando la strada di un nuovo ateismo di Stato, simile a quello della Cina maoista o dell’Albania di Enver Hoxha?

La Chiesa come ultimo baluardo della libertà

Non è la prima volta che Ortega e Murillo si scagliano contro la Chiesa. Da tempo il regime considera i vescovi e i sacerdoti nicaraguensi come pericolosi oppositori, colpevoli di difendere la democrazia e denunciare le violazioni dei diritti umani. Il caso di monsignor Rolando Álvarez, incarcerato, poi esiliato e ora definito “irrispettoso” dal governo, è solo l’ultimo capitolo di una lunga persecuzione.

La verità è che la Chiesa, nel contesto nicaraguense, rappresenta una delle ultime voci libere rimaste. Mentre la stampa indipendente è stata silenziata, le ONG espulse e gli oppositori politici incarcerati, i sacerdoti e i vescovi hanno continuato a parlare. E questo Ortega non lo può tollerare.

L’accusa assurda contro il Vaticano: strategia di delegittimazione

L’elemento più inquietante della dichiarazione del regime è l’attacco frontale alla Santa Sede. Ortega non si limita a rifiutare la nomina dei vescovi da parte del Papa – atto già di per sé gravissimo, perché viola il diritto della Chiesa alla propria autonomia –, ma passa all’insulto diretto. Definire il Vaticano “depravato” e “pedofilo” non è solo un’offesa gratuita, ma una strategia precisa per screditare l’autorità morale della Chiesa e giustificare la repressione contro di essa.

Accuse simili sono state usate in passato da altri regimi autoritari: la Russia sovietica, la Cina comunista e la Germania nazista hanno spesso descritto la Chiesa come corrotta e decadente, nel tentativo di indebolirne il prestigio tra i fedeli. Tuttavia, la storia insegna che questi attacchi non hanno mai funzionato: la persecuzione ha spesso rafforzato la resistenza dei credenti, come dimostra la tenacia della Chiesa nei decenni del comunismo nell’Europa dell’Est.

Ortega come Mao e Hoxha? Verso un ateismo di Stato

La decisione di non riconoscere al Papa il potere di nominare vescovi è un segnale preoccupante. Solo regimi totalitari hanno adottato misure simili in passato:

• La Cina maoista, che costrinse la Chiesa a formare una “Associazione patriottica” controllata dal Partito, separata da Roma.

• L’Unione Sovietica, che decapitò la Chiesa cattolica imponendo gerarchie ecclesiastiche fedeli al Cremlino.

• L’Albania comunista, unico stato al mondo a dichiararsi ufficialmente “ateo”, dove i sacerdoti furono imprigionati o fucilati.

Ortega sembra voler seguire questa strada, cercando di creare una Chiesa totalmente soggetta al governo. Il sequestro del Seminario Maggiore di Filosofia San Luis Gonzaga e del centro pastorale “La Cartuja” mostra chiaramente l’intenzione di soffocare la formazione del clero, per impedire che nuovi sacerdoti possano continuare la resistenza spirituale.

Un regime in crisi che cerca un nemico

Ma perché Ortega sta alzando il livello dello scontro proprio adesso? La risposta è semplice: il suo regime è in crisi. L’economia nicaraguense è in sofferenza, le sanzioni internazionali si fanno sentire e il malcontento popolare cresce. In questo contesto, il dittatore ha bisogno di un nemico su cui scaricare le colpe. E quale miglior nemico della Chiesa, da sempre vicina ai poveri e ai perseguitati?

La comunità internazionale non può restare in silenzio

Di fronte a questa escalation repressiva, la comunità internazionale ha il dovere di intervenire. Non si può restare inerti mentre il Nicaragua sprofonda in una dittatura sempre più simile a quelle del XX secolo.

Il Vaticano, dal canto suo, deve valutare attentamente la sua strategia. Se in Cina ha scelto il dialogo – con risultati discutibili –, in Nicaragua la situazione potrebbe richiedere una linea più dura. Forse è giunto il momento di una condanna ufficiale da parte del Papa, per denunciare apertamente l’oppressione del regime e sostenere la resistenza pacifica della Chiesa locale.

La fede non si spegne con la repressione

La storia ci insegna che nessun regime, per quanto violento e totalitario, è mai riuscito a spegnere la fede di un popolo. Daniel Ortega e Rosario Murillo possono sequestrare seminari, imprigionare vescovi, diffamare il Papa, ma non possono spegnere il desiderio di libertà e verità che la Chiesa rappresenta.

Il Nicaragua, oggi, è di fronte a un bivio: tornare a essere un paese libero o sprofondare nell’oscurità della dittatura. E la Chiesa, come sempre nella sua storia, sarà dalla parte della giustizia, anche a costo della persecuzione.