È tempo di anniversari dei monumenti del Diritto, non solo in Italia, ma anche in Pakistan.
La Costituzione del Paese dell’Asia meridionale ha celebrato lo scorso mese il suo mezzo secolo.
L’apparente stabilità e longevità della Carta, si scontra tuttavia con una lotta interna tra il primo ministro Shehbaz Sharif, il Parlamento, l’opposizione, la Corte Suprema e i militari.
Il casus belli è l’opportunità o meno di ritoccare la Costituzione del 1973 visto anche il rischio di default per il debito internazionale accumulato.
Il percorso della Costituzione non è stato certo facile perché in questi cinquant’anni c’è stata un’altalena tra un sistema parlamentare a un sistema semi-presidenziale.
In tempo di crisi urge stabilire per “chi è meglio fare cosa e chi deve comandare su chi”.
Dal 2010 sotto un governo civile il diciottesimo emendamento istituzionalizzava l’autonomia provinciale e dava a una commissione parlamentare il potere di nominare giudici.
Di fronte alle minacce della Corte Suprema di annullare l’emendamento, il Parlamento ha adottato il diciannovesimo emendamento, rendendo il capo della giustizia il vertice di una nuova commissione con il potere di nominare giudici.
La scelta politica della selezione dei giudici ha giocato nell’attuale situazione di stallo.
Una fazione della Corte Suprema guidata dal giudice capo Umar Ata Bandial è favorevole all’applicazione di un requisito costituzionale che le elezioni per le assemblee parlamentari si tengano entro 90 giorni dal loro scioglimento.
Il Pakistan Tehreek-i-Insaf (PTI), il partito di opposizione guidato dall’ex primo ministro Imran Khan, ha costretto le assemblee in due delle quattro province del Paese a sciogliersi a gennaio con l’obiettivo di costringere Sharif a indire le elezioni nazionali.
Altri giudici della Corte Suprema simpatizzano con l’opinione del governo secondo cui il requisito di 90 giorni non dovrebbe essere applicato alla luce della disperata condizione economica del Pakistan.
La situazione attuale del Pakistan si riferisce anche all’incapacità del Parlamento di chiarire costituzionalmente il ruolo dei militari nell’economia o nella politica per evitare di provocare ulteriori interventi.
L’Esercito mantiene così la sua impronta da miliardi di dollari nell’economia e la sua capacità di creare o distruggere i governi.
La decisione dell’esercito di ritirare il sostegno a Khan ha portato alla sua estromissione da parte di Sharif l’anno scorso.
Per quanto riguarda la Corte Suprema, se il Parlamento pakistano annullasse il 19° emendamento, si uscirebbe dallo stallo.
Se è solo il capo della giustizia che decide quali giudici siederanno in tribunale e quali giudici ascolteranno un determinato caso, viene compromessa l’autonomia della Magistratura in uno stato di diritto.
Per la cronaca ricorderemo che diciottenne pachistana ben integratasi in Italia era stata uccisa dai familiari a Novellara per aver rifiutato un matrimonio forzato.
Gli assassini occultarono il cadavere nelle campagne emiliane.
Grazie alla confessione di alcuni parenti, il corpo fu ritrovato quasi dopo un anno.
Per l’avanzata decomposizione passò ancora molto tempo prima di confermarne l’identità grazie a sofisticate analisi di laboratorio dei RIS.
Quando il cerchio della giustizia italiana si stava stringendo intorno ai genitori e allo zio, gli assassini fuggirono in Pakistan dove continuano a godere di protezione.
Per rimettere le cose a posto, occorre modificare la Costituzione che deve però richiedere l’accordo di due terzi del Parlamento.
Questo significa che nessun cambiamento può passare senza un certo sostegno del PTI.
Data l’attuale scala di polarizzazione in Pakistan, questo sarà chiaramente molto impegnativo, ma non è del tutto impossibile.
Figure politiche di spicco tra cui l’ex primo ministro Shahid Khaqan Abbasi hanno lanciato il movimento Reimagining Pakistan per sostenere le riforme costituzionali.
Lo stesso Khan dovrebbe essere solidale con gli emendamenti costituzionali riguardanti il ruolo dei militari perché ha chiesto di spingere l’esercito fuori dalla politica.
Un terreno comune per il dialogo interpartitico sembra quindi esistere, nonostante l’arresto di Khan all’inizio di questa settimana.
Anche se è stato ufficialmente arrestato in un caso di corruzione – che i funzionari del suo partito chiamano politicamente motivato – c’è poco da negare che la sua detenzione si aggiungerà solo alla controversia che circonda la costituzione e la Corte Suprema.
I principali partiti del paese si sono riuniti prima per intraprendere riforme. In effetti, il diciottesimo emendamento non sarebbe avvenuto senza un accordo tra quattordici diversi gruppi politici presenti in parlamento nel 2010.
Data la portata della crisi attuale, non c’è alternativa se non un ampio dialogo politico incentrato su radicali riforme costituzionali.
Questo perché, allo stato attuale, nessun partito può sperare di guidare una democrazia veramente parlamentare in Pakistan.
Mentre scriviamo il Pakistan è in fiamme perché martedì scorso Khan si era presentato in tribunale per rispondere delle accuse di aver venduto gli orologi di lusso avuti in dono mentre era premier, il caso Tashenka per cui mercoledì è stato condannato.
I Rangers del ministero degli interni, spaccando la finestra di un ufficio del tribunale, colpendo Khan alla testa e prendendolo a calci lo hanno trascinato fino a una camionetta per arrestarlo.
È una situazione pericolosa, quella che si è creata tra il governo del premier Shehbaz Sharif, sostenuto dai militari che da più di trent’anni controllano il Paese e il Movimento per la giustizia (Tehreek-e-Insaf) guidato dall’ex campione di cricket.
Ha Cina e America contro, ma un forte seguito in Pakistan.
L’arresto può attirargli consensi.
La saga di Imran Khan e del Pakistan non è finita.
La detenzione dell’ex primo ministro ha segnato un nuovo capitolo in una crisi politica che si sta costruendo dall’aprile 2022,
quando è stato estromesso con un voto di sfiducia e ha iniziato a spingere per nuove elezioni.
Il nuovo governo guidato dal primo ministro Shehbaz Sharif ha resistito fermamente, nonostante gli sforzi di Khan per suscitare il malcontento pubblico e sciogliere le assemblee provinciali per forzare i sondaggi locali.
Quegli scioglimenti, e il rifiuto del governo di piegarsi alle pressioni e rispettare gli ordini del tribunale di tenere le urne, hanno fatto ulteriormente precipitare il paese nella summenzionata crisi costituzionale.