Il discorso del re Filippo e del primo ministro Alexander De Croo, pronunciato durante la visita del Papa in Belgio, riflette un Paese che ha subito profonde trasformazioni e che continua a portare nel cuore ferite ancora aperte, come il caso dei crimini commessi da Marc Dutroux e la crisi di fiducia nelle istituzioni. La memoria di questi eventi rappresenta ancora oggi una cicatrice per la società belga, che si sforza di mantenere un equilibrio tra la promozione dei diritti umani e la difficile gestione del proprio passato.
Il re Filippo ha sottolineato il ruolo del Belgio come promotore della pace e del dialogo, insistendo sul bisogno di concretezza per superare le divisioni e le ferite. In questo contesto, è emersa la necessità di riconoscere i fallimenti, sia in ambito religioso sia statale, come nel caso degli abusi e delle adozioni forzate. La tragedia di Marc Dutroux ha segnato la coscienza collettiva della nazione, ponendo la necessità di un cambiamento profondo nel sistema giuridico e sociale, ma anche di una riflessione culturale che porti al rispetto della dignità umana e alla tutela dei più vulnerabili.
Il discorso di De Croo ha sottolineato come le ferite aperte del passato richiedano azioni concrete e non solo parole. La gestione della giustizia, il bisogno di verità e il ruolo dello Stato nel promuovere la memoria storica e la giustizia sociale sono aspetti essenziali per il Belgio di oggi, un Paese che vuole essere simbolo di unità in una società secolare ma consapevole delle sue radici religiose e culturali.
Papa Francesco ha raccolto queste riflessioni con una risposta che invita a fare del Belgio un “ponte” di incontro e di pace, richiamando alla mente le parole di San Giovanni Paolo II che definì il Belgio “cuore d’Europa”. Egli ha elogiato il ruolo del Paese come punto di connessione tra culture e lingue diverse e come sede naturale delle principali istituzioni europee, ma ha anche riconosciuto la fragilità umana e storica di questa nazione, esortando a non chiudere gli occhi di fronte ai drammi del passato. In particolare, il Papa ha parlato con chiarezza della piaga degli abusi nella Chiesa, definendola una “vergogna” da affrontare con coraggio e umiltà cristiana. “Nella Chiesa dobbiamo chiedere perdono di questo; gli altri chiedano perdono per la loro parte”, ha detto.
Le sue parole hanno toccato il tema della memoria e della riconciliazione, un tema che il Belgio conosce bene, avendo sperimentato le conseguenze di un passato segnato non solo dai crimini interni, come quelli di Dutroux, ma anche dagli effetti della guerra e del colonialismo. Il Pontefice ha invitato a fare della propria storia un “insegnamento”, perché, quando le nazioni dimenticano i loro traumi e i fallimenti, rischiano di ricadere negli stessi errori.
Francesco ha quindi messo in evidenza il ruolo del Belgio non solo come mediatore tra mondi diversi, ma come esempio per l’Europa di un Paese che, sebbene piccolo per estensione, ha una grande responsabilità nel promuovere la pace e nel ricordare ai popoli il valore del dialogo e della convivenza. L’immagine del Belgio come ponte, proposta dal Papa, è particolarmente significativa: proprio laddove ci sono state ferite profonde, egli vede un’opportunità di guarigione e di nuova speranza.
Il riferimento di Francesco alla guerra in Ucraina e al conflitto in Medio Oriente ha richiamato la necessità di agire non solo con la diplomazia ma con il cuore, riconoscendo che la pace non è mai acquisita una volta per tutte, ma è un processo continuo che richiede l’impegno di tutti. In questo senso, il Belgio, segnato dalla sua stessa storia di sofferenza e di divisione, può essere un esempio e un faro per tutta l’Europa, per mostrare che, anche dopo le tenebre, c’è la possibilità di costruire un futuro di speranza.
In questo contesto, ricordare la tragedia di Marc Dutroux è un monito affinché la giustizia e la tutela dei minori non siano mai trascurate. Il Papa ha messo in guardia la Chiesa dal pericolo di minimizzare questi crimini, ribadendo che la risposta deve essere decisa e trasparente, con la vittima sempre al centro. È un richiamo che riguarda tutte le istituzioni, perché l’indifferenza è spesso complice dei peggiori crimini.
Il Belgio, con le sue cicatrici e le sue speranze, appare agli occhi del Papa come un microcosmo di tutto ciò che l’Europa può essere: un luogo dove, nonostante le divisioni e le tragedie, il dialogo, la memoria e la riconciliazione possono dare vita a una società fondata sulla pace, la giustizia e la solidarietà.
Magistrale il discorso del Papa. Senza scadere in polemiche e rilanciare le accuse, riconosce la gravità della pedofilia anche se si trattasse di un solo chierico abusatore. Solo così la Chiesa può avanzare. Deve purificarsi con le lacrime del pentimento e il rossore della vergogna. La società pensi poi ai propri peccati e se ne emende a sua volta prima di mettere il tutto in caciara stimmatizzando la Chiesa.
Ho seguito per televisione. Il Papa parlava anche di possibile terza guerra mondiale per gli importanti focolai di conflitto accesi. Peccato che si sia messo l’accento piuttosto sulla pedofilia. Il Papa ha anche parlato dell’integrazione europea, la cooperazione. Starno che niente si sia detto su re Baldovino e l’aborto. Interessante anche il caso delle adozioni forzate che non conoscevo. Era però un’altra società nell’epoca di riferimento, dove magari la ragazza madre non aveva un’indipendenza economica e sociale.