Verso la fine della riunione del Sinodo sulla Sinodalità, tenutasi a Roma nell’ottobre scorso, Papa Francesco ha sorpreso l’assemblea con un discorso contro il clericalismo, un tema di crescente preoccupazione durante le discussioni. Il Papa ha sottolineato come la Chiesa debba essere vista come il “popolo santo e fedele di Dio”, che apprende una semplice fede dalle loro “madri e nonne”. Ha esortato vescovi e sacerdoti a ricordare le loro radici popolari e ha criticato duramente coloro che sfigurano la Chiesa con machismo e atteggiamenti dittatoriali.
La denuncia del Papa verso il clericalismo e il suo richiamo ad una maggiore umiltà nel clero non è nuova, ma la sua enfasi in questo contesto riflette un’urgenza crescente. Il Papa ha messo in luce un fenomeno preoccupante: giovani sacerdoti che, nella loro formazione e nella loro pratica, sembrano più interessati all’esteriorità e al formalismo che alla sostanza del ministero pastorale. Questa osservazione si collega a una critica più ampia verso un certo tipo di tradizionalismo rigido, che vede alcuni sacerdoti giovani adottare abiti e rituali pomposi, distanti dalla semplicità evangelica che dovrebbe caratterizzare il loro servizio.
Il documento finale del sinodo esprime la necessità di un cambiamento nella formazione dei sacerdoti, evidenziando il rischio del formalismo e dell’ideologia che portano ad atteggiamenti autoritari. La questione non è solo accademica o teologica, ma profondamente pratica: come formare sacerdoti che siano autentici pastori, in grado di guidare il popolo di Dio con umiltà e ascolto.
Una delle proposte emergenti è l’introduzione di una “fase propaedeutica” nella formazione seminariale, un periodo iniziale dedicato alla crescita umana e spirituale dei candidati. Questo periodo dovrebbe permettere ai futuri sacerdoti di riflettere sulla loro vocazione lontano dalle pressioni accademiche e di sviluppare una solida base umana prima di entrare nel cuore della formazione teologica.
Ma il cambiamento richiesto va oltre le strutture formative. Il Sinodo propone una maggiore integrazione delle donne e dei laici nei programmi di formazione. Questa inclusione non solo arricchisce il processo formativo con prospettive diverse, ma aiuta anche a costruire una Chiesa più sinodale e inclusiva. L’idea è che i sacerdoti debbano essere formati in un contesto che rispecchi la varietà del popolo di Dio, favorendo così una maggiore capacità di relazionarsi con tutti i fedeli, indipendentemente dal loro background o dalla loro situazione personale.
La formazione sinodale dei sacerdoti, dunque, richiede un approccio più ampio e inclusivo, che superi il clericalismo e promuova un autentico spirito di servizio. Un sacerdote sinodale dovrebbe essere, come suggerito da molti dei partecipanti al sinodo, un ascoltatore attento, capace di discernere insieme alla comunità i passi da compiere. Questo richiede non solo competenze teologiche e pastorali, ma anche una profonda umiltà e apertura all’ascolto e alla collaborazione.
In sintesi, il richiamo di Papa Francesco e del Sinodo sulla Sinodalità è chiaro: la Chiesa deve formare pastori che siano veramente al servizio del popolo di Dio, capaci di vivere e testimoniare la fede con umiltà e autenticità. Questo richiede una riforma profonda della formazione sacerdotale, ma anche un cambiamento di mentalità che abbracci pienamente il principio della sinodalità come stile di vita ecclesiale.