L’episodio di Brescia, in cui 23 attiviste ambientaliste sono state portate in Questura dopo una protesta davanti alla sede di Leonardo e costrette a spogliarsi, segna un punto di non ritorno nella deriva autoritaria che sta minacciando i fondamenti della nostra democrazia. Questa vicenda richiama alla memoria il clima di intimidazione del G8 di Genova nel 2001, un’epoca che pensavamo fosse relegata ai libri di storia. Ma a quanto pare, i metodi repressivi non sono mai stati davvero archiviati.
Un abuso inaccettabile
Secondo l’avvocato Gilberto Pagani, che difende le attiviste, le donne sarebbero state sottoposte a pratiche che non hanno alcuna giustificazione legale o logica: piegamenti sulle gambe per “rinvenire oggetti pericolosi”. Ma di pericoloso, in questa vicenda, c’è solo il messaggio che il governo sta mandando: chi protesta sarà umiliato e messo a tacere. La Questura di Brescia non ha negato l’accaduto, limitandosi a fornire giustificazioni che non reggono di fronte all’evidenza. E nel frattempo, le attiviste rimangono sotto choc per un trattamento che le ha violate nella loro dignità.
Un clima di impunità e repressione
Il contesto politico rende questo episodio ancora più inquietante. Mentre si consuma questa vergogna, il governo spinge per introdurre uno scudo penale che renderebbe quasi impossibile indagare sugli abusi delle forze dell’ordine. Un passo che, come denunciato dalla senatrice Ilaria Cucchi, sancirebbe di fatto l’impunità per chi si rende responsabile di violazioni dei diritti umani.
Il disegno di legge sicurezza in discussione in Parlamento è un attacco frontale alla libertà di protesta, un diritto garantito dalla Costituzione. Si tratta di un tentativo di soffocare il dissenso e di rafforzare l’idea che la sicurezza si ottiene con la repressione, anziché con il dialogo e la giustizia sociale.
Un colpo ai diritti fondamentali
Questa vicenda non è isolata. È parte di una strategia più ampia che mira a normalizzare l’uso sproporzionato della forza e a dissuadere i cittadini dall’esercitare i propri diritti. Gli attacchi alla libertà di manifestazione, l’apertura alla cancellazione del reato di tortura e le continue delegittimazioni delle critiche alle forze dell’ordine dipingono un quadro allarmante. Siamo di fronte a un governo che, invece di garantire il rispetto della legge, sembra impegnato a costruire un sistema in cui chi detiene il potere può agire senza dover rendere conto.
Non possiamo restare in silenzio
Di fronte a questa escalation repressiva, è fondamentale che la società civile, le forze politiche democratiche e le organizzazioni per i diritti umani alzino la voce. Le attiviste di Brescia, umiliate per aver esercitato un diritto costituzionale, sono il simbolo di una battaglia che riguarda tutti noi. Perché accettare queste violazioni significa aprire la porta a un futuro in cui nessuno sarà al sicuro.
Il governo deve essere chiamato a rispondere di quanto accaduto. È inaccettabile che in un Paese che si definisce democratico episodi del genere possano verificarsi senza conseguenze. Le istituzioni sono al servizio dei cittadini, non strumenti di repressione. Brescia non è un caso isolato: è un campanello d’allarme. Ignorarlo sarebbe un errore che potremmo pagare caro.
Un’indecenza megagalattica!