Il dibattito tra JD Vance e Tim Walz, candidati rispettivamente alla vicepresidenza repubblicana e democratica per le elezioni USA, offre un interessante caso di studio su due stili di comunicazione contrapposti e su come l’immagine politica viene plasmata attraverso il linguaggio. Da un lato, abbiamo Vance, con un approccio comunicativo molto raffinato e calibrato, capace di apparire sia come un uomo moderato che come un sostenitore radicale di Trump a seconda del pubblico di riferimento. Dall’altro, Walz si è mostrato più esitante, con una prestazione che non ha completamente convinto, facendo emergere le difficoltà dei democratici nel difendere l’amministrazione Biden-Harris.

Vance: Un maestro del trasformismo comunicativo

JD Vance ha dimostrato di essere un “camaleonte” della comunicazione politica. La sua capacità di adattarsi e mutare tono è stata evidente durante il dibattito, dove ha scelto di presentarsi come un uomo ragionevole, consapevole delle sue radici e pronto a difendere con decisione il record di Trump. Rispetto ai suoi interventi nei podcast e nei raduni di Trump, in cui il suo linguaggio è spesso aggressivo e provocatorio, Vance ha sfoderato un comportamento controllato e professionale, un’immagine che appare studiata per rassicurare i moderati repubblicani e attirare elettori indipendenti.

Questa strategia di “normalizzazione” del proprio discorso è simile a quella adottata da Mike Pence nelle elezioni del 2016 e del 2020, ma Vance riesce a farlo con maggiore efficacia, grazie a un linguaggio più moderno e a un uso sapiente delle narrazioni personali. Ad esempio, ha saputo utilizzare la sua storia personale — un passato difficile e una scalata sociale che rispecchia l’ideale del sogno americano — per costruire empatia con il pubblico. Questo uso del storytelling ha permesso a Vance di “umanizzare” la propria figura e di smussare l’immagine di un partito repubblicano associato alle politiche polarizzanti di Trump.

Tuttavia, dietro questa apparente moderazione, Vance ha mantenuto il nucleo ideologico del “MAGA” (Make America Great Again), mostrando che, nonostante il tono più morbido, è pronto a sostenere Trump anche nelle sue posizioni più estreme, come la negazione dei risultati delle elezioni del 2020. È un esempio di quella che potremmo definire “doppia retorica”, dove l’immagine di moderazione è usata per coprire posizioni più dure e radicali, un’abilità comunicativa affinata nelle aule universitarie e sui media conservatori.

Walz: un comunicatore disarmato

Tim Walz, al contrario, non è riuscito a trasmettere un messaggio altrettanto potente. La sua comunicazione è apparsa confusa e talvolta troppo conciliante, un difetto che è emerso chiaramente quando ha mostrato un eccessivo accordo con alcune posizioni di Vance. Questa strategia lo ha fatto sembrare debole e meno preparato a un confronto diretto. Pur avendo dei momenti di forza, specialmente nella seconda metà del dibattito, quando ha parlato della questione dell’aborto e delle sue conseguenze sulla vita delle donne, Walz non è riuscito a consolidare un’immagine di leadership forte e determinata.

Una delle principali criticità della performance di Walz è stata la mancanza di un chiaro posizionamento ideologico: se da un lato ha cercato di attaccare Vance e Trump, dall’altro ha evitato di esprimere critiche dirette all’amministrazione Biden-Harris, rendendo il suo discorso meno incisivo. Inoltre, il suo tentativo di presentarsi come un moderato che cerca di evitare lo scontro ideologico non è stato sufficiente a contrastare la lucidità comunicativa di Vance. Walz ha mancato l’opportunità di collegare le sue critiche a Vance a una narrazione positiva su ciò che l’amministrazione democratica potrebbe fare diversamente.

La narrazione della stabilità vs il caos trumpiano

Uno degli aspetti più significativi del dibattito è stato il tentativo di Vance di ribaltare la narrativa repubblicana tradizionale. Storicamente, Trump è stato associato all’immagine di un presidente caotico e imprevedibile, ma Vance ha cercato di riformulare il passato mandato di Trump come un periodo di stabilità e di crescita economica, contrapposto al “caos” dell’amministrazione Harris (un espediente retorico per delegittimare la presidenza Biden). Questo revisionismo è stato evidente quando Vance ha sostenuto che Trump “ha dato il potere pacificamente”, un’affermazione palesemente contraria ai fatti, ma che serve a creare una narrazione alternativa per gli elettori più conservatori.

Questa scelta comunicativa è stata molto abile: Vance non ha solo difeso Trump, ma ha riscritto la storia recente in modo da rendere la sua candidatura più accettabile per gli elettori moderati. Walz, al contrario, non ha saputo sfruttare questa distorsione narrativa, mancando di sottolineare con sufficiente forza le contraddizioni del suo avversario.

La posta in gioco: leadership comunicativa e verità politica

Il dibattito tra Vance e Walz è stato significativo non solo per le differenze stilistiche, ma per ciò che rappresenta a livello di strategia comunicativa. Da un lato, Vance ha mostrato come il Partito Repubblicano stia cercando di adattare la propria immagine per attrarre nuovi elettori senza rinunciare al nucleo “MAGA”. Dall’altro, Walz ha esemplificato le difficoltà dei democratici nel rispondere a questo fenomeno: incapaci di trovare una narrazione forte e coesa, rischiano di apparire come una forza reattiva piuttosto che propositiva.

Questo dibattito è stato, quindi, un riflesso delle tensioni più profonde che attraversano la politica americana. Se da un lato abbiamo un candidato come Vance, capace di trasformarsi in base al contesto e di mascherare le posizioni più estreme, dall’altro c’è un Walz che rappresenta una comunicazione più tradizionale, meno adattabile ai tempi rapidi e aggressivi della politica contemporanea.

In definitiva, il dibattito ha mostrato che la comunicazione politica non è solo una questione di contenuti, ma di percezione e di posizionamento. Vance ha saputo presentare se stesso come un leader calmo e affidabile, nascondendo abilmente il suo estremismo dietro un velo di moderazione. Walz, invece, ha perso l’occasione di definire chiaramente la propria leadership, rimanendo intrappolato in una comunicazione che non ha convinto né mobilitato il pubblico.

Il risultato? Un dibattito che, pur essendo stato sostanzialmente civile, non ha cambiato le carte in tavola, ma ha fornito uno spaccato eloquente delle strategie comunicative in gioco e della posta in palio per le prossime elezioni presidenziali.