Storicamente, la sterlina è stata la principale valuta mondiale dal 1870 fino al suo superamento da parte del dollaro USA negli anni ‘20. Anche se la sterlina ha mantenuto una quota significativa nei Diritti Speciali di Prelievo (DSP) per diversi decenni, oggi rappresenta solo circa il 4-5% delle riserve ufficiali di valuta estera nel mondo. L’euro, invece, è entrato nel paniere dei DSP nel 1999, guadagnando una quota del 37,4% nel 2010, ma successivamente è diminuito al 20% nel 2015. Entrambe le valute hanno visto una leggera diminuzione rispetto al dollaro dopo che il FMI ha incluso il renminbi nel paniere dei DSP.

L’euro, in particolare, ha potuto competere con il dollaro nel commercio globale, sfruttando la posizione strategica dell’Europa come crocevia tra tre continenti e zone commercialmente attive come il Mediterraneo e il nord Europa. La Cina, con il progetto della Nuova Via della Seta, ha contribuito a rafforzare questa posizione, stabilendo cooperazioni economico-commerciali con importanti attori europei e promuovendo una politica di dedollarizzazione.

Tuttavia, il dominio del dollaro rimane saldo grazie alla sua commercializzazione nelle transazioni internazionali, soprattutto nel settore energetico.

Il processo di integrazione europeo è sempre stato contraddistinto dal carattere prettamente economico-monetario e volto alla realizzazione di un mercato comune realizzando e facilitando la strada a tutte quelle condizioni che potessero determinare l’avvento di questa determinata tipologia di mercato. Da questo punto di vista i momenti salienti sono diversi, come diversi sono stati i tentativi disattesi, non andati in porto o archiviati per diretta influenza esterna, a causa dell’agire delle dinamiche più ampie a livello internazionale.

Uno dei tentativi infelici del processo di integrazione europea, è sicuramente da rimandare al Serpente Monetario Europeo dove ne facevano parte i sei paesi europei della CEE e la Gran Bretagna: esso aveva come obiettivo quello di dare alle valute europee un margine di fluttuazione ben determinato, ovvero del ± 2,25% perseguendo una politica di stabilità e di cambi rigidi delle monete poste in relazione dal Serpente Monetario Europeo. L’organizzazione per la cooperazione economica europea prese un’iniziativa attraverso la creazione di un meccanismo che portava il nome dell’Unione Europea dei Pagamenti (UEP) istituita nel 1950.

L’UEP doveva fungere come sistema di compensazione di tutte le tipologie di transazione all’interno dell’area europea ma nel concreto, agiva verso i paesi deficitari a cui veniva concesso un credito pagando in oro i disavanzi di questi paesi ai paesi creditori. Dunque, attraverso un fondo europeo l’UEP interveniva nei confronti dei paesi deficitari e con situazione di squilibrio, attraverso delle linee di credito. Rappresenta in toto un sostrato fondamentale per il trasferimento in via reciproca tra un paese e l’altro delle valute nazionali, rafforzando la cooperazione commerciale ed economica europea e gettando le basi favorevoli alla creazione di un mercato unico europeo. Nell’ambito dell’UEP, quindi, l’esistenza di un fondo comune aveva come fine il miglioramento del proprio sistema dei pagamenti e la Banca Dei Regolamenti Internazionali che aveva diretto contatto con l’UEP, aveva un ruolo di facilitatore: in primo luogo nelle dinamiche interne dell’UEP ma anche nell’ambito del contesto internazionale poiché l’azione determinava ovviamente una proiezione globale.

Questo meccanismo automatico doveva risolvere dei problemi presenti nella prospettiva dell’integrazione dell’Europa occidentale, in un periodo storico che si colloca prima dei trattati di Roma che furono successivamente sottoscritti nel 1957; uno strumento con delle precise finalità ma anch’esso archiviato, poiché ben presto rappresentò un problema all’interno delle dinamiche internazionali e più nello specifico del processo di dollarizzazione[1] e di egemonia crescente del dollaro in ambito internazionale: l’UEP poteva determinare delle difficoltà nell’ambito della diffusione del dollaro come valuta essenziale di riferimento anche perché la stessa integrazione europea si basa su uno stretto rapporto con gli Stati Uniti, ossia quello determinato dal patto Atlantico, costantemente confermato anche da parte dei fautori del processo di integrazione europea, solo con gli inizi degli anni ‘90 e la creazione dell’Unione Europea si evidenzieranno meglio dei margini di autonomia rispetto ai rapporti atlantici. La critica statunitense all’UEP si giustificava non solo per via dell’attacco al dollaro ma passava anche dalla minaccia che l’organismo rappresentava nei confronti delle istituzioni finanziarie internazionali e le garanzie di quell’assetto e l’insieme del sistema sorto con gli accordi di Bretton Woods.

Nel 1979 sorge un ulteriore tentativo di creare un sistema di cambi più rigido e vincolato tra le varie valute nazionali nell’ambito dei paesi europei, noto con il nome di Sistema Monetario Europeo. Generalmente visto come un antesignano dell’unione monetaria attuale poiché si basava su punti che di base ritroviamo nell’attuale Unione monetaria europea. L’obiettivo fondamentale, infatti, era quello di mantenere la stabilità monetaria, presupposto fondamentale per la creazione di un mercato unico nell’ambito dei sistemi europei. La politica monetaria perseguita si caratterizza, ancora una volta, con la volontà di creare un mercato unico, abbattendo i residui delle differenze e degli ostacoli di natura doganale rappresentate dai diversi cambi delle valute dei diversi paesi europei.

Il Sistema Monetario Europeo nasce sulla base del fallimento del Serpente Monetario e si basa su due obiettivi fondamentali che ritroveremo in tutta la vicenda successiva dell’Unione Europea: la regolarizzazione dei processi di cambio, con l’obiettivo dichiarato di mettere sotto controllo le dinamiche inflazionistiche, dunque la stabilità dei prezzi (oggi obiettivo guida della BCE, che quindi trova i suoi fondamenti teorici in diverse forme di integrazione anche monetarie del secolo scorso).

Questo sistema avrà vita più lunga rispetto al precedente meccanismo del serpente monetario, ma ben presto, i paesi egemoni, la Germania Ovest e la Francia, portarono alla fine di questa esperienza in concomitanza al processo di riunificazione della Germania: il marco tedesco richiedeva un nuovo ruolo più significativo nell’ambito del sistema monetario dell’Unione Europea che avesse dei riflessi sulle dinamiche delle valute dei diversi paesi facenti parte dell’ambito europeo nel 1989, legate poi dal trattato di Maastricht del ’92, in cui viene disciplinata non solo l’architettura economica dell’Unione Europea nascente, ma anche il processo di integrazione monetario. Non è un caso che i criteri di stabilità facciano riferimento al deficit fiscale, al debito pubblico, all’inflazione e ai tassi di interesse; cioè tutte variabili che devono essere tenute sotto controllo per favorire le esportazioni.

Ovviamente in quegli anni il sistema valutario delle monete alcuni paesi dell’Unione Europea sono sotto attacchi di speculazione e di svalutazione come, ad esempio, la lira italiana e la sterlina inglese: questa condizione agevola il processo di integrazione monetaria confidando che il sistema di cambio rigido potesse essere la via migliore verso uno sviluppo omogeneo dei paesi europei.

Lo SME (Sistema Monetario Europeo) ha portato alla ribalta le prime contraddizioni tra gli USA e il processo di integrazione dell’Europa occidentale. La fine dell’Unione Europea dei Pagamenti ha rallentato l’integrazione monetaria, influenzando la crescita delle produzioni europee e il commercio internazionale.

Con l’avvento dell’euro, la Banca Centrale Europea (BCE) è stata incaricata di garantire la stabilità dei prezzi e la lotta all’inflazione. Questo ha comportato politiche di riduzione della spesa pubblica, ritiro dello Stato dall’economia e libera azione del mercato per trovare i propri equilibri. La BCE gode di totale indipendenza e utilizza strumenti come la definizione dei tassi di cambio e le operazioni di mercato aperto per influenzare l’economia.

Tuttavia, le politiche di mantenimento e di aggiustamento perpetuo dell’Eurozona, aggravate dal Patto di Stabilità, si scontrano con la mancanza di politiche espansive e con la concezione neoliberista che vede l’intervento dello Stato nell’economia come nocivo. Secondo noi, lo Stato dovrebbe intervenire per condizionare il mercato, contrariamente alla visione neoliberalista dell’assegnazione privata delle risorse.


[1] La dollarizzazione fa sì che la moneta statunitense sostituisca in tutto o in parte la moneta nazionale in un determinato paese. Questo processo può essere ufficiale oppure viene definito non ufficiale quando l’uso del dollaro in grandi transazioni non va a finire nel bilancio bancario, poiché si manifesta nelle rivelazioni statistiche del mercato finanziario, un fenomeno opaco che però rappresenta una parte significativa dei processi finanziari nell’ambito del mercato. Il processo di dollarizzazione può seguire due strade: una via unilaterale, ossia senza nessun accordo con la Federal Reserve in cui un paese impiega le proprie riserve nazionali per acquistare dei dollari con i quali riacquista la propria base monetaria quindi in questo caso il dollaro esercita la funzione di filtro monetario. Un’altra via perseguita dalla dollarizzazione è senza dubbio quella bilaterale che presuppone l’accordo del paese terzo con la banca centrale degli Stati Uniti d’America; quindi, gli USA garantiscono l’emissione dei dollari nei confronti del paese terzo, condividono quella attività che permette di conseguire dei redditi nell’atto delle emissioni monetarie, pertanto, questi redditi sono condivisi dal paese terzo e le eventuali perdite, in caso di crisi bancaria, sono anch’esse condivise.