Nella sinagoga della Congregazione Emanu El a Houston, la voce che risuonava dagli altoparlanti sembrava essere quella del rabbino Josh Fixler, ma non era così. Il sermone, che discuteva il ruolo del vicino nell’era dell’intelligenza artificiale (IA), era stato generato da “Rabbi Bot”, un chatbot basato sull’intelligenza artificiale, addestrato sui precedenti discorsi del rabbino. La voce artificiale, combinata con il ritmo familiare del rabbino, ha confuso molti fedeli, ma ha aperto una discussione cruciale: quale sarà il ruolo dell’IA nel futuro della religione?

L’esperimento di Rabbi Fixler è solo uno dei tanti esempi di come l’IA stia entrando negli spazi religiosi. Dai sermoni scritti da chatbot a chatbot spirituali capaci di rispondere a domande teologiche, le comunità di fede stanno esplorando nuove possibilità, ma anche affrontando interrogativi etici e teologici complessi.

L’IA come alleata: strumenti al servizio della spiritualità

Per molti leader religiosi, l’IA rappresenta una risorsa per svolgere meglio il proprio lavoro. Il rabbino Oren Hayon, collega di Fixler, utilizza regolarmente un chatbot personalizzato addestrato su vent’anni di suoi scritti per supportare la ricerca. Pastori come Jay Cooper e Phil EuBank, invece, hanno sperimentato chatbot e generatori di contenuti per creare servizi completi, includendo messaggi di benvenuto, canti e persino sermoni.

Cooper, ad esempio, ha utilizzato ChatGPT per creare un servizio incentrato sul tema: “Come possiamo riconoscere la verità in un mondo in cui l’IA offusca la verità?”. L’esperimento ha attirato nuovi partecipanti, curiosi di vedere come la tecnologia potesse interagire con la spiritualità. Tuttavia, nonostante il successo iniziale, Cooper ha poi deciso di non utilizzare più l’IA per scrivere sermoni, sottolineando l’importanza di attingere alle proprie esperienze personali.

Dubbi etici e limiti tecnologici

L’utilizzo dell’IA per scopi religiosi solleva importanti questioni etiche. Mentre molti accettano la tecnologia come strumento per semplificare compiti amministrativi o tradurre sermoni in tempo reale, alcuni vedono nella scrittura di sermoni o nella risposta a domande spirituali un confine difficile da superare. Come ha osservato Papa Francesco: “La saggezza che guida la vita non può essere cercata dalle macchine”.

Un rischio concreto è rappresentato dalle “allucinazioni” dell’IA, ovvero la tendenza dei chatbot a inventare informazioni. Nel caso del “Rabbi Bot”, ad esempio, l’IA ha attribuito una falsa citazione al filosofo ebreo Maimonide, un errore che avrebbe potuto ingannare molti ascoltatori.

Per alcuni leader, come il pastore Thomas Costello di Honolulu, l’IA potrebbe anche minacciare l’arte stessa della predicazione. “Scrivere un sermone è un esercizio spirituale e teologico che si affina con il tempo”, ha spiegato. “Affidarsi troppo all’IA potrebbe compromettere lo sviluppo di nuove intuizioni e idee.”

L’IA come sfida e opportunità per la fede

L’utilizzo dell’IA nei contesti religiosi non è solo una questione di efficienza, ma anche di coinvolgimento delle nuove generazioni. Secondo Kenny Jahng, imprenditore tecnologico ed esperto di IA basata sulla fede, strumenti come chatbot personalizzati possono attirare giovani più inclini a esplorare la spiritualità attraverso la tecnologia.

Un esempio è il chatbot sul sito web della Father’s House in Florida, capace di rispondere sia a domande semplici come “A che ora sono i servizi?” sia a interrogativi complessi come “Perché le mie preghiere non vengono esaudite?”. Tuttavia, come sottolinea lo stesso Jahng, il successo di queste tecnologie dipenderà dalla loro capacità di andare oltre le risposte standard per offrire esperienze significative.

La relazione tra fede, tecnologia e umanità

Al centro del dibattito sull’IA negli spazi religiosi c’è una domanda fondamentale: Dio può parlare attraverso l’IA? La risposta varia da comunità a comunità, ma molti leader religiosi concordano sul fatto che, sebbene l’IA possa amplificare il lavoro umano, non può sostituire la relazione spirituale e comunitaria che è al cuore della fede.

“Il nostro lavoro non è solo mettere insieme belle frasi”, ha detto Rabbi Hayon. “È rispondere alle domande, ai dolori e alle speranze uniche delle persone che incontriamo. E questo non può essere automatizzato.”

Un futuro in evoluzione

Mentre le tecnologie di IA continuano a svilupparsi, le comunità religiose si trovano di fronte a una scelta: resistere al cambiamento o abbracciarlo con cautela. Come per l’invenzione della stampa nel XV secolo, l’IA potrebbe rivoluzionare il modo in cui le persone si connettono alla fede, ma solo se usata con discernimento.

Alla Congregazione Emanu El, il rabbino Fixler ha concluso il suo esperimento con “Rabbi Bot” con una riflessione provocatoria: “La Torah ci invita ad amare il nostro prossimo come noi stessi. Possiamo estendere questo amore anche alle entità che creiamo?”

La risposta, forse, non sarà determinata dalle macchine, ma dalle scelte etiche, spirituali e umane che le comunità decideranno di fare.