L’offensiva del Movimento 23 Marzo (M23) nell’est della Repubblica Democratica del Congo (RDC) rappresenta l’ennesima tragica puntata di un conflitto che dura da oltre trent’anni, segnato da ingerenze regionali, sfruttamento delle risorse minerarie e violenze su civili.

Mentre il M23 continua a consolidare il controllo sulle città occupate, arrivando persino a nominare un governatore e un vice-governatore, la reazione della comunità internazionale rimane fiacca e frammentaria. Il recente richiamo del procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI), Karim Khan, affinché tutte le forze armate rispettino il diritto internazionale umanitario, sembra una dichiarazione di principio senza reali conseguenze, mentre la sospensione dell’aiuto britannico al Rwanda e il congelamento del dialogo tra UE e Kigali non sembrano in grado di alterare le dinamiche sul campo.

Siamo di fronte a un conflitto che va ben oltre la dicotomia tra governo di Kinshasa e ribelli, e che affonda le sue radici in una complessa rete di interessi economici, strategici e geopolitici.

L’ M23 e la strategia del consolidamento politico

Il M23 non è un semplice gruppo ribelle, ma un attore politico e militare con un chiaro obiettivo strategico: trasformarsi da forza paramilitare a potere amministrativo alternativo nel Nord e Sud-Kivu.

• Il tentativo di “governare”: il M23 sta cercando di dimostrare alla popolazione locale – e indirettamente alla comunità internazionale – che è in grado di amministrare i territori occupati. La riapertura delle scuole a Bukavu, l’annuncio di investimenti per ripristinare acqua ed elettricità a Sake, e persino la nomina di funzionari ribelli, sono segnali chiari: il M23 non vuole essere percepito solo come un gruppo armato, ma come un’alternativa credibile al governo di Félix Tshisekedi.

• L’ombra del Rwanda: nonostante le smentite di Kigali, il legame tra il M23 e il governo rwandese è evidente. Le forze di Paul Kagame non si limitano a fornire sostegno logistico e militare: il M23 è di fatto una proxy force di Kigali, che continua a perseguire i suoi interessi economici e geopolitici nell’est della RDC.

• Un “cessate il fuoco” di facciata: il M23 ha annunciato un cessate il fuoco “umanitario” in vista del vertice tra Tshisekedi e Kagame, ma la realtà sul campo racconta una storia diversa. Mentre la diplomazia prova (debolmente) a mediare, il M23 si riorganizza militarmente, approfittando di una tregua per consolidare il controllo sulle aree conquistate e prepararsi alla prossima fase del conflitto.

La comunità internazionale: una reazione tardiva e inefficace

L’Occidente ha finalmente iniziato a esercitare pressioni sul Rwanda, con Londra che ha sospeso gli aiuti finanziari e Bruxelles che ha congelato il dialogo politico in materia di sicurezza. Tuttavia, queste misure appaiono timide e insufficienti.

• Le sanzioni britanniche ed europee: il Regno Unito e l’UE stanno cercando di adottare misure contro il Rwanda, ma con enormi divisioni interne. Il veto del Lussemburgo ha bloccato nuove sanzioni europee, mentre Francia e Germania si mostrano riluttanti a spingersi oltre la semplice retorica. La sospensione dell’aiuto britannico è una misura simbolica, che non intacca realmente il sostegno di Kigali al M23.

• Il ruolo ambiguo del Rwanda: il governo di Kagame continua a negare ogni coinvolgimento diretto, affermando che il M23 è un problema interno alla RDC. Tuttavia, le accuse di Kinshasa sono supportate da numerose evidenze: fornitura di armi, supporto logistico, presenza di truppe rwandesi in territorio congolese.

• Gli USA riducono il personale a Kinshasa: il dipartimento di Stato americano ha annunciato il ritiro del personale non essenziale dall’ambasciata nella capitale congolese, segno che Washington teme un’ulteriore escalation. Tuttavia, gli Stati Uniti non sembrano intenzionati a esercitare una pressione significativa su Kagame.

• L’ipocrisia occidentale sulle risorse naturali: l’est della RDC è uno dei territori più ricchi al mondo di minerali strategici – coltan, cobalto, oro – fondamentali per l’industria elettronica globale. Le grandi potenze occidentali, che formalmente denunciano la guerra in Congo, continuano a dipendere dall’estrazione di queste risorse, chiudendo spesso un occhio sulle complicità tra attori economici e milizie locali.

Il futuro del conflitto: escalation regionale o soluzione negoziata?

La situazione nella RDC è ben lontana da una soluzione pacifica. Se da un lato la diplomazia prova a negoziare un cessate il fuoco stabile, dall’altro sul campo si intravedono due scenari possibili:

1. Escalation e frammentazione regionale

• L’avanzata del M23 potrebbe estendersi verso Bukavu, aprendo un nuovo fronte di guerra.

• La risposta delle forze governative congolesi rischia di intensificare il conflitto, coinvolgendo anche altre milizie attive nella regione.

• Il rischio di un coinvolgimento diretto di attori esterni, come Sudafrica e Angola, potrebbe trasformare la crisi congolese in un conflitto regionale.

2. Soluzione negoziata (fragile e temporanea)

• La diplomazia potrebbe riuscire a imporre un cessate il fuoco stabile, con il coinvolgimento di organizzazioni come la Comunità dell’Africa Orientale (EAC) e la Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Australe (SADC).

• Tuttavia, senza un vero impegno internazionale per smantellare il sistema di economie di guerra che alimenta i gruppi armati, ogni accordo rischia di fallire nel giro di pochi mesi, come già accaduto più volte in passato.

La guerra in Congo è una questione globale

La guerra nella RDC non è un semplice conflitto locale tra governo e ribelli, ma una questione geopolitica globale.

• Il Rwanda utilizza il M23 per proiettare la sua influenza economica e militare nella regione.

• L’Occidente, pur condannando la guerra, continua a dipendere dai minerali congolesi, alimentando indirettamente il conflitto.

• La comunità internazionale, con le sue mezze misure, non riesce a fermare l’escalation.

Finché il commercio di minerali strategici continuerà a finanziare le milizie, e finché non ci sarà una vera pressione diplomatica su Kigali, la guerra nell’est del Congo continuerà a mietere vittime e a destabilizzare l’intera regione.

La domanda è: la comunità internazionale è davvero pronta a risolvere questo conflitto o continuerà a tollerarlo in nome dei propri interessi economici?