In un recente editoriale su America, Nathan Schneider riflette sulla tensione tra individualismo e obbedienza nel contesto della democrazia americana. Schneider ci invita a considerare un elemento spesso trascurato, persino temuto, ma essenziale per il funzionamento di una democrazia: l’obbedienza. Non quella cieca e coercitiva, associata alle tirannie della storia, ma un’obbedienza volontaria, radicata nella responsabilità reciproca e nel rispetto per il bene comune.
Schneider esplora come la democrazia americana, nella sua forma moderna, sia stata plasmata durante il XX secolo per contrastare due minacce globali: il fascismo e il comunismo. Come sottolinea Fred Turner nel suo libro The Democratic Surround, le istituzioni culturali americane del dopoguerra svilupparono una particolare visione del soggetto democratico. Questo modello, pensato per inoculare le persone contro le tentazioni dell’autoritarismo e del collettivismo, celebrava l’individualità come antidoto all’oppressione. Esprimere sé stessi attraverso scelte personali, identità e persino consumi divenne un atto politico, un modo per preservare la libertà in un’epoca segnata dalla lotta ideologica globale.
Tuttavia, questa enfasi sull’autoespressione portò con sé una sfida: la difficoltà di costruire una democrazia collettiva quando ogni individuo è incoraggiato a perseguire esclusivamente i propri interessi. “La democrazia non può realizzarsi sotto un regime di autoespressione a tutti i costi,” scrive Schneider. L’obbedienza, in questa luce, non è una rinuncia alla libertà personale, ma un atto di fiducia e disciplina che ci radica in una comunità. È una forza che, come insegna la tradizione monastica cristiana, ci prepara a vivere relazioni significative e ad affrontare le sfide collettive con coerenza e resilienza.
Mentre gli Stati Uniti entrano in una nuova fase politica sotto la seconda amministrazione Trump, Schneider ci invita a riflettere non solo su come resistere o dissentire, ma su come possiamo riscoprire il valore dell’obbedienza democratica. “A cosa e a chi offriamo la nostra obbedienza?” domanda. Questa non è una questione di sottomissione a leader o leggi ingiuste, ma un richiamo a una solidarietà che trascende le divisioni politiche.
Schneider sottolinea che momenti di grave ingiustizia richiedono disobbedienza civile, ma tali atti straordinari si basano su una disciplina e un senso di responsabilità che nascono da un’obbedienza condivisa. In un’epoca segnata dalla polarizzazione e dall’individualismo sfrenato, la democrazia ha bisogno di una riscoperta della sua anima collettiva.
Come ci ricorda America attraverso la penna di Nathan Schneider, la democrazia americana fu concepita per essere il baluardo contro gli estremi del collettivismo e dell’autoritarismo, ma rischia di perdere la sua forza se dimentica la dimensione comunitaria e l’importanza dell’obbedienza. La democrazia non è semplicemente il regno delle preferenze individuali, ma la somma di volontà che scelgono di obbedire non a un potere assoluto, ma a un’idea condivisa di giustizia e comunità. In un mondo in cui la divisione sembra la norma, riscoprire questa verità potrebbe essere il primo passo per guarire e costruire una democrazia più forte.