L’ex presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha recentemente ammesso davanti a un’inchiesta del Senato di aver gestito una “squadra della morte” durante il suo mandato come sindaco di Davao. Una confessione che porta alla luce le ombre di una politica fatta di sangue e repressione, che ha segnato non solo la sua carriera politica, ma anche la storia recente delle Filippine. Mentre la dinastia Duterte sembra vacillare, tra indagini internazionali e scontri interni al governo, è lecito chiedersi se sia giunta la fine di un’era per la politica del terrore nel paese.
Un’ideologia di violenza e giustizia sommaria
Le dichiarazioni di Duterte davanti al Senato, in cui ha ammesso l’uso di “gangster” come esecutori extragiudiziali, risuonano come un’ammissione dell’approccio brutale che ha caratterizzato la sua “guerra alla droga”. Questa confessione non è solo un fatto giudiziario, ma riflette una mentalità diffusa che considera la violenza un mezzo legittimo per risolvere i problemi sociali. Durante la sua presidenza, Duterte ha alimentato una retorica violenta, incoraggiando i cittadini a prendere la giustizia nelle proprie mani contro i sospetti criminali. I dati ufficiali parlano di 6.000 morti in operazioni anti-droga, ma le organizzazioni per i diritti umani stimano che il numero reale possa essere cinque volte maggiore.
La contraddizione tra lotta alla droga e accuse di collusione
Ironia della sorte, la famiglia Duterte è ora sotto accusa non solo per i crimini contro l’umanità, ma anche per presunti legami con il narcotraffico. Alcune testimonianze suggeriscono che membri della famiglia e collaboratori dell’ex presidente potrebbero essere coinvolti nel traffico di droga. Sebbene queste accuse debbano ancora essere confermate, la possibilità che gli stessi promotori della guerra alla droga abbiano tratto vantaggio dal traffico illecito mina ulteriormente la credibilità e l’integrità morale della dinastia Duterte.
La dinastia Duterte e il rischio di collasso
Il recente distacco tra la famiglia Duterte e l’attuale presidente Ferdinand Marcos Jr., un tempo alleato, mette in evidenza la fragilità delle alleanze politiche nelle Filippine. Marcos ha rifiutato di intervenire per proteggere Duterte dall’indagine della Corte Penale Internazionale, segno di un crescente isolamento dell’ex presidente. La figlia di Duterte, Sara, attualmente vicepresidente, si trova a gestire una difficile posizione politica, tra il sostegno alla famiglia e le crescenti tensioni con l’attuale governo. Il carisma di Sara e la sua popolarità potrebbero portarla a candidarsi alla presidenza nel 2028, ma l’incertezza attorno alla dinastia Duterte rende difficile prevedere se il suo futuro politico sarà altrettanto solido.
Duterte e la questione dei diritti umani
L’approccio di Duterte alla giustizia è in aperto contrasto con i principi dei diritti umani. La sua politica di tolleranza zero ha portato all’esclusione di interi segmenti della popolazione e alla normalizzazione di pratiche che negano la dignità umana. La sua ammissione pubblica di aver gestito squadre della morte rappresenta un problema etico profondo, soprattutto in un paese che continua a cercare di affermare una democrazia sana e un sistema giudiziario giusto.
Le conseguenze internazionali e l’indagine della Corte Penale Internazionale
L’indagine della Corte Penale Internazionale rappresenta una sfida significativa per Duterte e la sua famiglia. Nonostante Marcos abbia affermato che le Filippine non collaboreranno con l’ICC, il permesso agli investigatori di entrare nel paese suggerisce un cambio di rotta rispetto alla politica precedente. Se l’ICC riuscisse a portare Duterte davanti alla giustizia, si tratterebbe di un precedente importante non solo per le Filippine, ma per tutte le nazioni che cercano di combattere le violazioni dei diritti umani.
La storia della famiglia Duterte rappresenta un paradigma di potere che si fonda sulla violenza e sul controllo sociale, ma che, come ogni sistema costruito sull’abuso, sembra destinato a crollare. Le recenti confessioni di Duterte, le indagini della Corte Penale Internazionale e le spaccature politiche con l’attuale presidente Marcos segnano un momento di svolta per le Filippine. Mentre le accuse si accumulano e la dinastia Duterte si trova sempre più isolata, si fa strada la speranza che il paese possa voltare pagina e adottare un approccio più umano e giusto alla lotta contro la criminalità e il traffico di droga.