Secondo le rivelazioni di alcune fonti cinesi al Financial Times, «a Pechino si sono convinti che “Putin è pazzo” e che la sua Russia uscirà dal pantano ucraino ridotta a “una potenza minore”».
Le migliaia di soldati mandati a morire alla conquista del Donbass stanno erodendo progressivamente il consenso verso il novello zar ed è verosimile uno scenario di proteste sociali e scontri di potere proprio in questo 2023.
Quando l’Unione Sovietica crollò era in corso la fallimentare guerra in Afghanistan e la stagnazione economica di un impero troppo esteso per essere controllato.
Oggi, un possibile crollo della Federazione russa, è non solo auspicabile, ma politicamente possibile.
La realizzazione di tale ipotesi riscriverebbe gli equilibri geopolitici globali destabilizzando diverse aree nel mondo.
Janusz Bugajski, membro della Jamestown Foundation e autore di un libro appena uscito intitolato nuovo libro, ‘Failed State: A Guide to Russia’s Rupture’, sostiene che la Federazione Russa non è stata in grado di trasformarsi in uno stato-nazione, in uno stato civico o persino in uno stato imperiale stabile. L’imminente rottura della Federazione Russa sarà la terza fase del crollo imperiale in seguito al disfacimento del blocco sovietico nell’Europa orientale e alla disintegrazione dell’Unione Sovietica alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90.
Scorrendo alcune pagine del saggio, Bugajski scrive: «La Russia è uno Stato fallito. È una federazione solo di nome, poiché il governo centrale persegue una politica di omogeneizzazione etnica e linguistica e nega ogni potere alle 83 repubbliche e regioni del Paese. Tuttavia, l’ipercentralizzazione ha messo in luce le molteplici debolezze del Paese, tra cui un’economia in contrazione schiacciata dalle sanzioni internazionali; le sconfitte militari in Ucraina rivelano l’incompetenza e la corruzione della élite al potere e l’inquietudine in numerose regioni per i budget in calo».
Ciò che rimarrà della Russia avrà capacità grandemente ridotte di attaccare i vicini. Dall’Artico al Mar Nero, il fronte orientale della Nato diventerà più sicuro; mentre Ucraina, Georgia e Moldavia riconquisteranno i loro territori occupati e chiederanno l’integrazione dell’Unione Europea e della Nato senza timore della reazione della Russia. Anche i Paesi dell’Asia centrale si sentiranno sempre più liberi e potranno rivolgersi all’Occidente per collegamenti energetici, di sicurezza e economici.
La Cina sarà in una posizione più debole per espandere la sua influenza poiché non potrà più collaborare con Mosca e nuovi Stati filo-occidentali potranno emergere dall’interno della Federazione Russa, migliorando la stabilità in diverse regioni dell’Europa e dell’Eurasia.
L’Occidente ha commesso un grave errore quando ha creduto che il crollo del comunismo sovietico significasse la fine dell’imperialismo russo . E, visto che gli Stati imperiali crollano invariabilmente quando superano il limite e quando le pressioni centrifughe sono alimentate da difficoltà economiche, risentimenti regionali e risvegli nazionali, ora deve evitare di ripetere quell’errore, questa volta presumendo erroneamente che l’attuale impero sia permanente.
Tutti gli imperi alla fine si frantumano. Pensare che per quello di Putin — e per la Russia — sarà diverso è solo un altro difetto di immaginazione.
Che la si consideri una fortuna o una sciagura, forse conviene iniziare a prendere l’ipotesi in seria considerazione…