Nel carcere di Evin, lo stesso dove fino a pochi giorni fa era detenuta Cecilia Sala, un’altra giornalista e attivista per i diritti umani rischia di essere giustiziata. Pakhshan Azizi, curda, 40 anni, è stata condannata a morte per impiccagionedalla Corte Suprema iraniana.
Una condanna politica per chi difende i diritti umani
Azizi non è una criminale, come vuole far credere il regime iraniano. È una giornalista e operatrice umanitaria che per anni ha lavorato nel Kurdistan iracheno e in Siria, sostenendo donne e bambini sfollati dalla guerra contro lo Stato Islamico. Il suo impegno l’ha resa un bersaglio del governo di Teheran, che da tempo considera attivisti e giornalisti come nemici da eliminare.
Arrestata nell’agosto 2023, è stata accusata di appartenere a gruppi armati ostili alla Repubblica Islamica, una formula generica usata per colpire chiunque denunci le violazioni dei diritti umani in Iran. Dopo l’arresto, è stata tenuta in isolamento per cinque mesi, senza accesso a un avvocato o alla sua famiglia. Sottoposta a torture fisiche e psicologiche, ha resistito, rifiutando di firmare false confessioni.
Ora il regime vuole giustiziarla, usando la sua morte come monito per chiunque continui a sfidare l’autorità iraniana.
Il regime iraniano colpisce le donne per fermare la resistenza
La condanna di Azizi arriva subito dopo la liberazione di Cecilia Sala, in un evidente segnale di sfida del regime: la repressione non si ferma, anzi si intensifica.
Insieme a lei, altre due attiviste, Varisheh Moradi e Sharifeh Mohammadi, sono state condannate a morte. Teheran non si limita a imprigionare chi lotta per i diritti umani: vuole eliminare fisicamente le donne che osano ribellarsi.
Nel carcere di Evin, lo stesso che ha rinchiuso e torturato Azizi, centinaia di prigioniere politiche continuano a protestare ogni settimana, sfidando il sistema dall’interno. Il regime sa che il Movimento Donna Vita Libertà è ancora vivo e cerca di soffocarlo con il terrore.
Ma la storia dimostra che la repressione non spegne le rivoluzioni.
Cosa possiamo fare per salvare Pakhshan Azizi
La liberazione di Cecilia Sala ha dimostrato che la pressione internazionale può fare la differenza. Non possiamo accettare che Pakhshan Azizi venga impiccata nel silenzio.
Ecco cosa possiamo fare concretamente per aiutarla:
1. Diffondere la sua storia – Parlarne, condividerla sui social, scrivere ai giornali. Più persone conoscono il suo caso, maggiore sarà la pressione sul regime iraniano.
2. Sostenere le organizzazioni per i diritti umani – Amnesty International, Human Rights Watch e altre ONG stanno chiedendo la revoca della sua condanna. Unirsi alle loro campagne può amplificare il messaggio.
3. Scrivere ai governi e agli organismi internazionali – ONU, Unione Europea e governi democratici possono esercitare pressioni diplomatiche sull’Iran.
4. Partecipare a manifestazioni e proteste – Scendere in piazza per Azizi significa dimostrare che il mondo la sostiene e che la sua esecuzione non passerà inosservata.
5. Chiedere sanzioni mirate – Gli stati occidentali possono imporre restrizioni specifiche ai giudici e funzionari responsabili delle condanne a morte in Iran.
Il tempo stringe: agiamo ora
Il regime iraniano usa la pena di morte come strumento politico di intimidazione, ma la comunità internazionale ha il potere di impedirlo. Salvare Pakhshan Azizi significa difendere la libertà di stampa, i diritti delle donne e la giustizia.
Se il mondo resta in silenzio, il regime continuerà a uccidere senza conseguenze. Ma se ci mobilitiamo, se facciamo sentire la nostra voce, possiamo fermare questa ingiustizia.
Pakhshan Azizi deve vivere. E il momento di agire è adesso.