Roma ha annunciato, lunedì 29 gennaio, l’ordinazione di un nuovo vescovo cinese, in accordo con il governo. Il culmine di un’azione iniziata diversi mesi fa per cercare di alleviare le tensioni tra la Santa Sede e Pechino.
La delegazione ha lasciato Roma in tutta discrezione, direzione Pechino. Alla fine di novembre, una manciata di funzionari vaticani, incaricati dei negoziati tra i più delicati del pontificato, è volata in Cina. A capo di questa piccola squadra: monsignor Claudio Maria Celli, un vescovo italiano a cui Papa Francesco ha affidato la gestione delle sue relazioni con Pechino. È stato lui a negoziare l’accordo firmato nell’ottobre 2018 e ancora in vigore da allora, permettendo al Vaticano e alla Cina di nominare, di comune accordo, vescovi in tutto l’Impero di Mezzo. Un testo in base al quale il Vaticano ha annunciato, lunedì 29 gennaio, la consacrazione di un nuovo vescovo a Weifang, nel nord-est del paese, quattro giorni dopo quella del nuovo vescovo di Zhengzhou, nella Cina orientale.
Secondo le nostre informazioni, il movimento delle nomine dovrebbe anche continuare con l’annuncio di una nuova ordinazione, mercoledì 31 gennaio. Un’accelerazione spettacolare, dopo mesi di gelo e tensioni. L’ordinazione dell’ultimo vescovo adottato da entrambe le parti, il sesto dal 2018, risale infatti a settembre 2021. Da allora, nessun funzionario cattolico era stato nominato congiuntamente da Roma e Pechino. La Cina, che avrebbe tra i 10 e i 12 milioni di cattolici sul suo suolo, aveva persino rotto ogni dialogo, alla disperazione del Vaticano, invocando la pandemia per rimandare l’organizzazione di qualsiasi riunione bilaterale per lunghi mesi.
La tensione era ancora salita di una tacca quando, nel novembre 2022, la Cina aveva nominato un ‘vescovo ausiliare del Jiangxi’, diocesi non riconosciuta dalla Santa Sede, senza l’accordo del Vaticano. Una prima violazione seguita, nell’aprile 2023, da un secondo poiché, a quel tempo, Pechino aveva annunciato l’assunzione di un nuovo vescovo a Shanghai, anche senza accordo. Queste nomine, che in realtà erano ‘trasferimenti’ da una diocesi all’altra, avevano alimentato a Roma la più grande preoccupazione. “Questo ha creato un sacco di tensioni, spiega una fonte molto vicina ai negoziati. Un terzo trasferimento sarebbe stato una rottura di fatto. »
È per cercare di placare la situazione che la piccola squadra di monsignor Celli si è recata a Pechino, dove ha visitato sia la sede dell'”Associazione patriottica dei cattolici cinesi” che la Conferenza episcopale cinese, che hanno anche lo stesso indirizzo. Nulla è filtrato dal contenuto delle discussioni, sulla base di un accordo il cui contenuto non è mai stato divulgato. Ma “sono questi appuntamenti che hanno permesso di andare avanti”, assicura un alto funzionario, a Roma. Capire: di nominare nuovi vescovi.
Evoluzione notevole: “I vescovi cinesi sono ora consultati dalle autorità per qualsiasi nuova nomina, cosa che prima non era il caso”, spiega la stessa fonte molto vicina ai negoziati. Ciò permette loro anche di informare Roma del profilo del futuro vescovo previsto da Pechino. Il potere cinese ha inoltre sostituito i funzionari incaricati del dialogo con la Chiesa per sostituirla con una squadra più “benevola”, secondo diverse fonti.
Questo clima di distensione deve anche molto all’azione intrapresa dal vescovo di Hong Kong, il gesuita Stephen Chow. In aprile, il nuovo responsabile della Chiesa di questa enclave cinese, creato cardinale in ottobre da Papa Francesco, si era recato a Pechino su invito dell’Associazione Patriottica dei Cattolici della Cina. Una prima, annunciata pubblicamente, che è stata seguita, secondo le nostre informazioni, da altri viaggi di andata e ritorno molto più discreti in altre diocesi del paese. “ Pechino ha fiducia in lui. Non era il caso dei suoi predecessori”, accoglie con favore una fonte romana.
È inoltre in sua compagnia che il Papa aveva lanciato, a settembre, durante il suo viaggio in Mongolia, un chiaro messaggio di pacificazione verso le autorità cinesi, un “caloroso saluto” al “nobile popolo cinese”. Prima di aggiungere: “Chiedo ai cattolici cinesi di essere buoni cristiani e buoni cittadini. »
Sono emersi anche altri segni di rilassamento, in modo molto più discreto. A luglio, due giornalisti vicini al Vaticano sono stati invitati in Cina da un sito di notizie locale. Questo viaggio non poteva avvenire senza il consenso delle autorità cinesi, che non potevano ignorare che uno lavorava per Vatican News, il media ufficiale del Vaticano, mentre l’altro scriveva per L’Avvenire, il quotidiano appartenente ai vescovi italiani.
Pochi mesi dopo, in ottobre, un viaggio verso Roma, questa volta, fu rilevato dagli osservatori più attenti: quello di due vescovi cinesi venuti a partecipare al Sinodo sul futuro della Chiesa. Sempre accompagnati dal loro traduttore, hanno partecipato a parte dei lavori a Roma. Infine, a dicembre, è uno dei responsabili del dicastero della cultura e consigliere non ufficiale del papa, il gesuita Antonio Spadaro, che si è recato a Pechino per festeggiare il Natale. Tanti movimenti molto seguiti da François, che ha fatto della Cina una delle sue priorità. “Il suo sogno è andare, ne parla molto spesso”, dice uno dei visitatori regolari di Sainte-Marthe, dove il papa vive e lavora. Un sogno mai abbandonato.
Eppure, in privato, i più alti funzionari della Santa Sede, compreso il cardinale Pietro Parolin, a lungo percepito come uno dei principali artigiani del riavvicinamento con Pechino, non nascondono più la distanza che prendono con questo accordo ritenuto ‘il meno cattivo possibile’. Queste critiche sono tanto più forti in quanto diverse voci, sul campo, denunciano un aumento delle tensioni perpetrate da un potere desideroso di “sinizzare” sempre più le religioni.
Diversi osservatori spiegano così a La Croix che, in alcune regioni, il governo cinese si avvale dell’accordo con il Vaticano per esercitare un controllo rigoroso sui cattolici. “Anche nelle regioni più aperte, non è raro vedere poliziotti all’ingresso delle chiese per vietarne l’accesso ai minori”, spiega un buon conoscitore del cattolicesimo nella regione. Diversi vescovi sono anche scomparsi, secondo l’agenzia Asian News International. L’ultimo, monsignor Pierre Shao Zhumin, sarebbe stato rapito all’inizio di gennaio. Questo vescovo, che era già stato rapito in passato, è noto per essersi sempre opposto all’accordo con il Vaticano.
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Un accordo concluso nel 2018
L’accordo tra Cina e Vaticano sulla nomina dei vescovi è stato firmato nell’ottobre 2018. Inizialmente presentato come una versione “provvisoria”, di cui si prevedeva di valutare gli effetti dopo due anni, è stato rinnovato due volte, nel 2020 e poi nel 2022.
Ha lo scopo di evitare una separazione irrimediabile tra due Chiese che si sviluppano parallelamente in Cina dal 1953: quella ufficiale, sostenuta dal regime, e la “sotterranea”, fedele a Roma.
Permette al governo cinese e al papa di nominare congiuntamente i vescovi del paese. Il suo contenuto preciso non è mai stato rivelato.