Settanta anni fa, era il 1° febbraio 1954, l’abbé Pierre, prete cattolico francese ed ex partigiano anti-nazista, scuoteva le coscienze lanciando il suo appello contro la miseria.
Il 1°febbraio 1954, l’abate Pierre formulò un grido d’allarme e chiedeva una “insurrezione della bontà”.
Sacerdote, partigiano, deputato e attivista, è stato per decenni il francese più popolare in un Paese fortemente laicizzato che lo ha insignito delle più alte onorificenze della Repubblica e candidato al Premio Nobel.
L’abbé Pierre definiva la sperequazione sociale una vera e propria violenza quando diceva: “Ci sono che hanno messo tutto nel loro piatto, lasciando vuoti i piatti degli altri”.
La sua figura è ritornata attuale, non solo per l’anniversario del suo appello, quanto per una riforma anti-popolare del governo Attal sull’assegnazione degli alloggi ai poveri.
Per onorare l’eredità dell’abbé Pierre, dobbiamo andare oltre la semplice commemorazione e intraprendere azioni politiche che possano davvero fermare questa crisi sociale hanno dichiarato alcuni eurodeputati.
Oltre all’impegno sociale e politico, pochi conoscono lo spessore spirituale dell’abbé Pierre derivato dalla sua biografia.
Nato nel 1912 a Lione in una famiglia benestante, l’abbé Pierre, al secolo Henri Grouès, vedeva suo padre, un fervente cristiano, radere, pettinare, servire la domenica mattina i pasti ai senzatetto.
All’età di 15 anni, durante un pellegrinaggio ad Assisi, venne sedotto da queste parole di San Francesco: “L’amore non è amato”.
Entrò tra i Cappuccini a 19 anni, ma dopo l’Ordinazione sacerdotale, per la sua salute e la sua indole attiva, il superiore gli consigliò la vita di prete secolare.
Con lo scoppio della guerra si attivò per portare in salvo in Svizzera e in Spagna i perseguitati dai nazisti.
Con il permesso del suo vescovo fu deputato sotto il governo di De Gaulle, ma uscì presto dall’Assemblea nazionale per fondare la Comunità Emmaus per la lotta contro la povertà.
Per l’abbé Pierre l’azione era inseparabile da una vita spirituale radicata nell’esperienza della povertà e nella preghiera, in particolare nell’adorazione che ha praticato fino alla fine della sua vita.
La miseria è una realtà strutturante in Europa, e per milioni di persone non è l’eccezione ma la regola.
Solo in Italia, secondo i dati dell’ISTAT sono 96.197 le persone senza tetto e senza fissa dimora iscritte in anagrafe. La maggioranza è composta da uomini e il 38% è rappresentato da cittadini stranieri, provenienti in oltre la metà dei casi dal continente africano.
Le persone senza tetto e senza fissa dimora censite sono residenti in 2.198 comuni italiani, ma si concentrano per il 50% in 6 comuni: Roma con il 23% delle iscrizioni anagrafiche, Milano (9%), Napoli (7%), Torino (4,6%), Genova (3%) e Foggia (3,7%).
Queste statistiche non rappresentano solo numeri, ma individui, intere famiglie la cui vita quotidiana è una lotta per la sopravvivenza.
È da questo stato di cose che dobbiamo partire per riconsiderare la questione dell’Europa sociale, che non può rimanere un’astrazione.
La povertà costituisce una sfida sistemica, alla quale potrà rispondere solo una volontà politica costante.