La strada più battuta per il successo politico è spesso quella dell’imitazione: replicare strategie vincenti e cavalcare tendenze consolidate. Jimmy Carter, morto domenica, rappresenta l’antitesi di questa visione. Politico atipico, con una straordinaria capacità di individuare opportunità e una non sempre altrettanto efficace gestione del potere, Carter ha percorso una traiettoria unica, trasformandosi da presidente degli Stati Uniti in una delle figure più rispettate e fidate della comunità internazionale.
Un presidente che parlava il linguaggio della sincerità
Carter ha conquistato la presidenza nel 1976 grazie a un messaggio semplice e disarmante: “Non dirò mai una bugia”. In un’America scossa dallo scandalo del Watergate e dalla crisi di fiducia nelle istituzioni, il suo stile schietto e autentico rappresentava un balsamo per una nazione ferita. La sua campagna, che poneva al centro giustizia, amore e trasparenza, citava perfino il profeta Michea: “Camminare umilmente con il tuo Dio”. Un ethos che avrebbe permeato tutta la sua vita pubblica.
Ma la sincerità e l’integrità che lo avevano portato alla Casa Bianca si rivelarono anche un limite politico. In un’epoca di compromessi e giochi di potere, Carter appariva spesso troppo diretto, troppo idealista. Non era il leader che cercava di compiacere tutti, ma quello che sfidava il sistema, anche a costo di inimicarsi il proprio partito.
La presidenza di Carter: successi e difficoltà
Il mandato presidenziale di Carter fu un misto di visioni profetiche e ostacoli pratici. Sul piano internazionale, raggiunse successi straordinari, come l’accordo di pace di Camp David tra Egitto e Israele e i trattati per la restituzione del Canale di Panama. Ma i suoi sforzi per fare dei diritti umani la pietra angolare della politica estera americana, pur applauditi, non sempre trovarono riscontro in azioni immediate e vincenti.
Sul fronte interno, Carter affrontò sfide titaniche: una crisi energetica, un’economia stagnante e tensioni sociali crescenti. Il suo celebre “discorso di malessere” del 1979 tentò di affrontare una crisi esistenziale, puntando il dito contro il consumismo sfrenato e il vuoto spirituale dell’America. Un messaggio potente ma incompreso, che anticipava tematiche poi riprese da Papa Francesco in Laudato Si’.
La sua presidenza fu però segnata anche da eventi drammatici, come la crisi degli ostaggi in Iran, e dalla sua incapacità di tradurre la visione in risultati concreti. La sua sconfitta contro Ronald Reagan nel 1980 fu la fine di una stagione politica, ma l’inizio di un ruolo ancora più significativo per Carter.
Il presidente che reinventò il dopo-presidenza
Liberato dalle costrizioni della politica elettorale, Carter si dedicò a ciò che più gli stava a cuore: la pace, i diritti umani e la giustizia sociale. Il Carter Center, fondato nel 1982, divenne il fulcro del suo impegno globale, con iniziative che spaziavano dalla promozione della democrazia al monitoraggio delle elezioni in oltre 38 paesi, fino alla lotta contro malattie devastanti come il verme della Guinea.
La sua autenticità e il suo impegno instancabile gli valsero il Premio Nobel per la Pace nel 2002, un riconoscimento alla sua visione di un mondo più giusto e solidale.
Un’eredità di fede e coerenza
Carter era un uomo di fede profonda, radicata nella tradizione battista ma vissuta con un’apertura e un umanesimo che trascendevano ogni confine. Anche durante la presidenza, insegnava la scuola domenicale, incarnando l’idea che la politica potesse essere una forma di servizio. Come osservò Matt Malone, S.J., Carter era “un simbolo degli angeli migliori della nostra natura collettiva”. La sua coerenza tra parola e azione lo ha reso una figura unica, un leader che “dice quello che fa e fa quello che dice”.
Un esempio per il futuro
Jimmy Carter lascia un’eredità difficile da eguagliare. Come presidente, ha tentato di trasformare l’America non solo attraverso leggi e politiche, ma anche attraverso un cambio di mentalità e di valori. Come cittadino del mondo, ha mostrato come la vita pubblica possa essere mossa da principi e non solo da ambizioni.
In un’epoca di cinismo e divisione, il suo esempio risuona come un invito a riscoprire la politica come vocazione al bene comune. Carter non è stato perfetto, ma la sua autenticità e il suo impegno disinteressato rimarranno un faro per chiunque voglia fare la differenza. Come ha detto lui stesso: “Non ho paura di ciò che accadrà, perché so di aver fatto tutto ciò che era in mio potere per rendere il mondo un posto migliore”.
e come non ricordare il suo
Palestine Peace not Apartheid
e le sue sempre lucide valutazioni sul MO e sulla Terra Santa !
Se gli USA avessero seguito la sua linea saremmo in un altro mondo !
Grande Jimmy Carter !
Piccola USA !