A tre mesi dalla caduta del regime di Bashar al-Assad, la Siria si ritrova nuovamente sull’orlo di una guerra civile. La rivolta di miliziani alauiti, fedeli al vecchio governo, ha scosso le regioni costiere del paese, in particolare Latakia, Tartus e Jabla, le stesse città dove la minoranza sciita degli alauiti aveva costruito il suo potere sotto la dinastia Assad.

Dopo settimane di tensioni e denunce da parte delle autorità religiose alauite contro il “clima di terrore” imposto dal nuovo presidente Ahmad al-Sharaa, i combattimenti sono esplosi violentemente. Gli scontri tra le forze governative, a maggioranza sunnita, e i miliziani alauiti hanno lasciato sul campo centinaia di vittime, in un conflitto che rischia di trascinare la Siria in un nuovo abisso di sangue e vendette.

L’ultima resistenza degli alauiti

Fino alla caduta di Assad, gli alauiti erano la colonna portante del regime. La loro élite controllava esercito, intelligence e posizioni chiave dello Stato. Con il rovesciamento del dittatore, molti membri della comunità hanno subito epurazioni, arresti e attacchi mirati. Gli alauiti si sentono ora perseguitati e temono rappresaglie da parte delle forze governative sunnite, che li considerano un’eredità scomoda del passato regime.

A dare il via alla ribellione è stata l’esecuzione sommaria di diversi combattenti alauiti, con video scioccanti che mostrano civili massacrati e rastrellamenti nelle città costiere. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, negli ultimi giorni sono stati uccisi almeno 134 alauiti e 50 governativi, mentre il numero totale delle vittime ha superato le 229 persone.

Particolarmente violento lo scontro a Qardaha, la città natale di Assad, dove le forze di sicurezza hanno lanciato un’operazione per reprimere la resistenza lealista. Il ministero della Difesa ha parlato di “operazioni mirate e precise”, segnale che il conflitto è tutt’altro che sotto controllo.

Il nuovo governo e le promesse mancate di al-Sharaa

Il nuovo presidente Ahmad al-Sharaa, sostenuto dalla Turchia e dall’Arabia Saudita, aveva promesso una Siria inclusiva e unitaria, ma i fatti raccontano un’altra storia. Se da un lato ha avviato dialoghi con cristiani e drusi, la comunità alauita è stata deliberatamente esclusa dai negoziati politici, alimentando il senso di isolamento e il sospetto che il nuovo governo voglia vendicarsi degli ex sostenitori di Assad.

Intanto, il paese è nel caos: coprifuoco prolungato nelle città costiere, strade bloccate, tensioni altissime. Il collegamento autostradale tra Damasco e Latakia è stato riaperto solo dopo pesanti combattimenti, mentre Jabla è ancora isolata.

Il ruolo delle potenze straniere

Come sempre, il destino della Siria non si gioca solo all’interno dei suoi confini, ma dipende dagli equilibri regionali e globali. Le reazioni internazionali mostrano divisioni e interessi contrapposti:

• Turchia e Arabia Saudita sostengono il governo al-Sharaa, considerandolo un baluardo contro l’influenza sciita in Medio Oriente.

• Russia, alleata storica di Assad, osserva con preoccupazione la crisi, ma per ora si mantiene cauta.

• Iran, grande sostenitore del regime di Assad, ha preso le distanze dal nuovo governo e ha dichiarato di non avere fretta di riconoscere il nuovo ordine siriano.

• Israele vede con sospetto la nuova leadership: il presidente israeliano Katz ha definito al-Sharaa “un terrorista jihadista”, segnalando la preoccupazione che la Siria possa cadere nelle mani di gruppi estremisti.

Siria, un nuovo conflitto settario?

Il rischio di un nuovo conflitto su base etnica e religiosa è più alto che mai. Se la ribellione alauita continuerà e il governo risponderà con repressioni indiscriminate, la Siria potrebbe ripiombare in un conflitto simile alla guerra civile del 2011-2018.

L’Europa e gli Stati Uniti, dopo anni di interventi fallimentari, stanno a guardare, senza una strategia chiara. Ma la storia ha già insegnato che ignorare i segnali di una nuova guerra in Siria può avere conseguenze devastanti.

La promessa di una nuova Siria pacifica e democratica sembra allontanarsi sempre di più, mentre il paese rischia di diventare ancora una volta teatro di vendette, divisioni settarie e interferenze straniere.