Il sacerdote madrileno E.G.G. solleva diverse questioni fondamentali su come la Chiesa Cattolica affronta le deviazioni e gli abusi all’interno delle sue fila, soprattutto quando questi sono mascherati da presunti fenomeni mistici o rituali di guarigione. Il caso è emblematico non solo per la natura degli abusi – per quanto inquietante possa essere – ma anche per la risposta della gerarchia ecclesiastica e la complessità del quadro giuridico e disciplinare che emerge.

La perversione della fiducia

Il caso di E.G.G. riguarda, ancora una volta, la perversione di una dinamica di potere che si annida all’interno del rapporto tra un’autorità religiosa e i fedeli. Le vittime descritte sono donne adulte, vulnerabili e spiritualmente afflitte, convinte che i loro problemi fossero di natura demoniaca. Eppure, piuttosto che essere guidate verso la guarigione spirituale, sono state soggiogate e manipolate. La dinamica è subdola: la fiducia viene erosa e il confine tra fede e abuso si dissolve nel nome di una presunta “guarigione” che non è altro che sfruttamento psicologico e fisico.

L’argomento della difesa del sacerdote — sostenere che non vi fosse dolo perché non agiva con intenzioni libidinose — è un riflesso dell’incapacità di comprendere la gravità della manipolazione emotiva e spirituale. Anche senza un intento sessuale esplicito, la coazione psicologica e l’uso distorto della religione rendono queste pratiche non solo immorali, ma anche illegali. Quando la spiritualità è usata come arma per indebolire le difese di una persona, ci troviamo di fronte a un abuso a tutto tondo.

La questione del “falso misticismo”

Una delle peculiarità del caso E.G.G. è che viene etichettato sotto il termine di “falso misticismo”. Questa definizione appare complessa, poiché, per sua natura, il misticismo è un ambito che si muove al confine tra spiritualità ed esperienze soggettive. Eppure, ciò che diventa chiaro è che il “falso misticismo” non riguarda solo la deviazione dottrinale, ma anche l’abuso della credulità e della fede. La spiritualità è stata utilizzata come pretesto per esercitare un controllo totale su queste donne, abusandone non solo fisicamente, ma soprattutto psichicamente. Il “falso misticismo” è un cavallo di Troia che consente agli abusatori di presentarsi come guide spirituali, ottenendo così una legittimità che poi viene pervertita.

La risposta della Chiesa: giustizia o ambiguità?

Il problema che emerge è la risposta ambigua delle autorità ecclesiastiche. Da una parte, il Tribunale della Rota ha riconosciuto la criminalità degli atti, ma ha dovuto confrontarsi con la prescrizione canonica. Dall’altra, il Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF) ha preferito non prendere in carico il caso, sostenendo che non rientrava tra i “peccati riservati”. Questa ambiguità evidenzia un nodo problematico nell’approccio della Chiesa agli abusi su adulti. Quando i crimini riguardano i minori, l’indignazione pubblica e la pressione sociale spingono la Chiesa a intervenire con maggiore decisione. Quando invece si tratta di adulti, il confine tra manipolazione e consenso sembra diventare nebuloso, lasciando spazio a interpretazioni ambigue che rischiano di banalizzare la sofferenza delle vittime.

Questa ambiguità non è solo un problema giuridico, ma anche pastorale e morale. Se la Chiesa intende veramente fare pulizia tra le sue fila e dimostrare che non c’è spazio per i predatori spirituali, deve trattare gli abusi sugli adulti con la stessa serietà di quelli sui minori. La mancanza di una condanna esplicita da parte del DDF è una macchia sull’istituzione e mina la fiducia della comunità ecclesiale, già ampiamente provata da scandali passati.

Il silenzio dei “falsi profeti”

Un altro elemento inquietante del caso E.G.G. è la rete di supporto che il sacerdote ha intessuto attorno a sé, sia tra i laici che tra gli ecclesiastici. L’influenza che figure come lui esercitano dimostra quanto fragile sia la comunità quando si tratta di distinguere tra vera fede e fanatismo. Questo tipo di comportamento è un segnale d’allarme che la Chiesa dovrebbe prendere sul serio. Quando un sacerdote viene idolatrato come un santone e difeso da una comunità che preferisce chiudere un occhio piuttosto che affrontare la verità, allora ci troviamo di fronte a una devianza sistemica che richiede una risposta radicale.

Il problema della “giustificazione teologica”

L’utilizzo di argomenti teologici per giustificare atti di abuso — come nel caso di E.G.G. e di altri “mistici” devianti — è forse l’aspetto più pericoloso e subdolo. L’idea che “bisognasse toccare per guarire” o che “le parti intime fossero il nascondiglio del maligno” è una distorsione della dottrina che sfida ogni logica morale. Questi sacerdoti abusano non solo del corpo delle vittime, ma anche della loro fede, trascinandole in una spirale di senso di colpa e vergogna. In un certo senso, il loro crimine è doppio: violano l’integrità fisica delle vittime e la loro fiducia nel sacro.

La Chiesa tra credibilità e perdono

La Chiesa si trova a un bivio. Da un lato, il desiderio di non essere vista come un’istituzione punitiva, dall’altro la necessità di affrontare con giustizia i casi di abuso, anche quando sono complicati e coinvolgono adulti. Le vittime di E.G.G., come quelle di Rupnik e di tanti altri, meritano giustizia, non attenuanti basate su cavilli giuridici o prescrizioni formali.

Il caso E.G.G. è, in definitiva, un monito per l’intera Chiesa. Se non si riuscirà a distinguere chiaramente tra ciò che è autentica esperienza spirituale e ciò che è manipolazione e abuso, la Chiesa rischia di perdere non solo la sua credibilità, ma anche la sua stessa anima. L’unico modo per rispondere a questo scandalo è un intervento deciso, che tuteli le vittime e impedisca ai “falsi profeti” di distruggere ciò che rimane di un’istituzione già profondamente segnata dagli scandali.